
Sono profondamente soddisfatto all’uscita dalla sala dopo la visione di questo lavoro di Paolo Sorrentino, in concorso al Festival di Cannes 2013, non fosse per i soliti cafoni da multisala che non hanno potuto trattenersi dal sottotitolare ogni scena con commenti da salotto: Jep Gambardella, protagonista del film interpretato da un maestoso Toni Servillo, ne avrebbe descritto la maleducazione inquadrandoli in una traboccante descrizione meringata da colti aggettivi dal sapore vintage. E’ uno strano soggetto Jep, solitario intellettuale dallo spiccato cinismo, quasi si bea nell’altrui decadenza usandola come trampolino al proprio narcisismo che lui, arrogantemente, chiama sensibilità. Una sfilata di soggetti “difettosi”, personaggi quasi circensi simbolo di una fetta di società malata e reale verso i quali si prova compassione quasi dimenticando che, incontrandone nella vita reale, il giudizio sarebbe tutt’altro che lieve. Carlo Verdone nei panni di un fastidioso fallito che arranca al seguito di una gallina tremendamente brutta, dentro e fuori; Sabrina Ferilli, stavolta eccezionalmente brava, in quelli di una donna vittima della rozzezza del padre pervertito e di un ambiente burino del quale è ormai una componente fondamentale; Isabella Ferrari impersona una deprimente nullità il cui unico accessorio è la ricchezza materiale, completamente inutile perché accompagnata ad una totale vuotezza. Galatea Ranzi è una saccente scrittrice contro la quale Jep rovescia una scarica di verità verbali così violenta da demolirla e, infine, due parole in più sono da spendere per una stupefacente Serena Grandi che, seppure con un nome di scena, interpreta nient’altri che sé stessa risultando il fulcro riassuntivo dell’intera pellicola: una donna sfasciata al limite dell’umano che rifugge il proprio relitto circondandosi di marionette griffate. La vera bellezza di questo film, non grande ma immensa, è la fotografia. Ogni inquadratura è un arazzo, ogni fotogramma un dipinto, ogni frame un poster. La storia affascina da subito proprio grazie alla luminosità delle immagini, ai colori, al meraviglioso documentario di una Roma che sembra perfetta e che via via va incrinandosi al crescere della percezione dell’amarezza della trama. Sconvolge anche la presenza completamente sgretolata della religiosità: giovani suore mai così umane e peccatrici, reverendi viziosi e stupidi, idoli e santità ridicoli e imbarazzanti. Mi resta una gran voglia di rivederlo ed annotare le tante frasi forti e impattanti che costellano un testo, a parer mio, bellissimo.
la grande bellezza e’ veramente da oscar. L’ho voglio rivedere!
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Ti ringrazio per questa recensione che trova parole perfette per descrivere quello che anche io penso di questo film e che non sarei mai riuscito ad esprimere in italiano corrente.
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Lusinghiero che non sei altro 😉 grazie a te!
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