Funny Life, Televisione

Pronuncia: vince l’abitudine

pronuncia-parole-straniere-parola-straniera-italianoUna enorme quantità di prodotti stranieri fa ormai parte della nostra quotidianità, moltissimi addirittura dal secondo dopoguerra. Basta chiedere alle nostre mamme o nonne quale è stato il primo shampoo uscito in commercio e, dopo il tradizionale racconto di come si lavassero i panni con la cenere o i capelli con l’aceto, vi risponderanno quasi certamente Palmolive. Una parola così radicata e di così facile identificazione che tutti furono in grado di farla propria e così, da allora, tutti conosciamo quel prodotto col nome di Palmolive, pronunciato proprio così come si scrive. Mai avrei il coraggio di dire a mia madre, dopo cinquant’anni, che si proncuncia palm-òliv. Nessuna sorpresa, quindi, per quanto riguarda prodotti entrati nel gergo comune da così tanto tempo, ad esempio assorbenti e pannolini Lines (pronuncia lains), il dentifricio Colgate (pronuncia colgheit) e moltissimi altri prodotti.

Un’abitudine che ha costretto persino le aziende, da noi, ad adeguarsi alla pronuncia, seppur sbagliata, del gergo popolare. Tutti gli spot dei prodotti sopra citati pronunciano il proprio marchio nel modo gergale allo scopo di non intaccare la familiarità acquisita e non confondere il consumatore. Meno comprensibile, invece, la pronuncia errata di prodotti entrati in commercio più di recente e che le aziende hanno diffuso (volutamente?) con la pronuncia sbagliata. E’ il caso del deodorante per ambiente Glade, che viene pronunciato Glèd nello spot, anzichè glaid (=radura), o dello shampoo antiforfora Clear, che viene pronunciato così anziché cliar (=chiaro).

Infine, ci sono marchi e prodotti che pronunciamo “all’inglese” quando in realtà non dovremmo, perché si tratta di parole greche o latine. Un esempio fra tutti è Nike, pronunciato solo in italia naik e corretto dai più esterofili naichi, come in effetti pronunciato negli USA: peccato che in realtà, per una volta, andrebbe detto proprio come si scrive!

Tutto questo mi diverte ed affascina da sempre, credo però che si tratti di strafalcioni ormai irrisolvibili, coi quali dovremo convivere pacificamente. E’ andata bene a quelli del Dash o del dado Star che, per loro fortuna, mettono d’accordo tutti.

Televisione

Festività e Palinsesti

masterchef-finalists-ireland-and-winner-mary-carneyHo l’abbonamento Sky, a casa. Sono un abbonato. Sono un abbonato costretto, poiché non ho l’antenna tradizionale e non posso guardare il digitale terrestre. Un alibi favoloso il primo anno, una scusa divertente il secondo anno, una condanna dopo cinque anni. Non ne posso più. E’ vero, seguo alcune trasmissioni assiduamente, in certi periodi dell’anno: X-Factor, Masterchef, Cucine da Incubo, moltissimi documentari di National Geographic… ma a parte questo, mi domando,  chi sono gli utenti delle altre innumerevoli trasmissioni disgustose made in America che riempiono a tutte le ore fiumi di canali? L’elenco è così grande che non saprei da dove cominciare. Vogliamo parlare dei Reality? Ce ne sono sugli obesi, sulle coppie in crisi, su maniaci depressivi, su deformità disgustose e inenarrabili, su hobbies discutibili. E ancora, reality su chi voglia diventare modella, cantante, tatuatore, cuoco, chef, impresario, drag queen. Reality in versione baby, in cui l’orrore cresce, con bambini rovinati per sempre infilati in concorsi di bellezza feroci e che trangugiano energetici per esibirsi al meglio. Reality su rigattieri e accattoni, su meccanici e riparatori, su psicopatici eroicizzati… Gente che apre la propria casa a due vecchiette esperte di pulizie mostrando il lerciume nel quale vive al mondo intero, altri che si siedono davanti alla telecamera per farci vedere l’enorme ciste che penzola dall’interno coscia. E questo è più o meno il palinsesto dei canali definiti “intrattenimento”. Vogliamo parlare dei documentari? Nel giro di un mese, al ritmo di due-tre documentari la settimana, ho già esaurito le varietà di argomenti presentata dai canali che vanno dal 400 in poi. Incappo trenta volte al mese nel documentario sulla torre di Dubai, venti volte sul documentario del mistero delle piramidi Maya, eroi del ghiaccio, eroi del bronzo, eroi dello zolfo, un documentario sulla vita del Fuhrer che va ormai in loop da anni, un tizio che passeggia da almeno un lustro per le Dolomiti e che ogni volta trovo sulle tre cime di Lavaredo a mangiare polenta e funghi, e via e via ricominciano tutti, ancora e ancora, giorno e notte sempre la stessa… polenta! Vogliamo parlare dei documentari sull’Italia o sull’Europa prodotti in America e pieni di strafalcioni e ovvietà? Ah, aspetta! E’ arrivato On-Demand! Mi son detto, vedrai che c’è un sacco di bella roba che non hai mai visto perché magari sei a lavoro, ci saranno ore ed ore di programmi meravigliosi! No. Non è così. Per uno come me che non ama il crimine, neppure nella versione epica delle decine e decine di serie tv fatte di spari e inseguimenti, di storie d’amore fra commissari e medici legali, di processi in tribunale con monologhi improbabili, non c’è molto da fare: è ancora, pure qua, sempre la solita zuppa. La disperazione regna. E così, nove su dieci, finisco per guardare un film scaricato online, una vecchio DVD, oppure, niente.

Sotto Natale, magia! Tutto quanto sopra è esattamente identico, ma con il tema natalizio: modelle vestite da babbi natali, obesi infiocchettati ai quali viene concessa una cup-cake dal colore del veleno per topi, cani col cappello da renna e i campanelli che si recano in negozi apposta per loro a comprare maglie di cachemire, documentaristi che spiegano l’origine del pungitopo, chef che si affannano a fare biscotti allo zenzero o panettoni dei quali nessuno di noi potrà mai conoscere l’esito, e così via.

Io, giuro, non ne posso più. Più più più più.

Unica consolazione: la tv in chiaro è persino peggio.

Mondo, Televisione, Varie

L’inferno in città

imageIl Macrolotto, zona industriale di Prato, è una vasta area a sud della città fatta di strade perpendicolari fra loro e fabbriche, tutte di dimensioni medio grandi, nate negli anni ottanta e novanta quando il successo industriale del tessile pratese ha avuto la necessità di uscire dalle case dei cittadini ed espandersi, quando l’economia in crescita repentina vedeva spuntare industrie alla velocità della luce e trovare lavoro era una passeggiata. Una volta diplomati, era sufficiente scegliere le ditte nelle quali lavorare e presentare il proprio curriculum, con la minima fatica. Io stesso ho lavorato nel Macrolotto, dove i ritmi erano frenetici ed il movimento di mezzi e persone riempiva strade, uffici e reparti. In seguito alla crisi, il Macrolotto di oggi è completamente sconvolto. Le strade del Macrolotto sono semideserte, le ditte hanno insegne cinesi e di italiani ne sono rimasti pochissimi, quasi nessuno. Pur immaginandola, non si era percepita la condizione lavorativa di quegli operai stipati in fabbriche dormitorio fino alla tragedia del 1 Dicembre, quando in un rogo hanno perso la vita sette persone recluse in loculi di cartone privi di vie di fuga. Ieri sera ho voluto partecipare alla fiaccolata tenutasi davanti alla fabbrica distrutta dalle fiamme in Via Toscana. Non avrei potuto immaginare dai soli giornali e telegiornali la situazione reale. Centinaia di persone, forse un migliaio, attorno ad un fiume di candele, hanno pianto questi morti domandandosi se e come cambiare un meccanismo che sembra diventato la normalità. La città non è più la stessa, si respira un clima di preoccupazione, diffidenza, odio, rancore e rabbia che tracimano in sproloqui razziali e xenofobi, stimolati dallo sgomento imbambolato delle istituzioni e dalla mancata commistione fra le etnie, che sono via e via più separate dai limiti dell’ignoranza. Mi chiedo quanto si potrà andare avanti in questo modo, e quanto velocemente questo episodio verrà dimenticato. Perché sarà indubbiamente così, ormai dimentichiamo tutto, siamo capaci di passare alla notizia successiva in un batter d’occhi, ingurgitiamo immagini sanguinose a ripetizione, faticando a separare quelle reali da quelle cinematografiche, e omettiamo di fermarci ad indignarci.

Cinema, Televisione

Da Vinci’s Crap

Da Vinci's DemonsLa Storia è indubbiamente più affascinante su uno schermo che su di un libro di testo, si segue meglio e ci si appassiona di più. Non c’è nulla di male nel guardare una ricostruzione TV fatta per un documentario su History Channel, un meraviglioso documento dell’Istituto Luce o ancora una scena di vita quotidiana dell’Antica Roma in un documentario nostrano condotto da Alberto Angela. Se quella è la materia che ami, certamente verrai comunque stimolato ad approfondire sui testi, se non è la tua materia preferita, avrai   avuto un’idea generale di come sono andati i fatti. Altra cosa è guardare il Cinema Americano o, ultimissima moda, le Serie TV di ispirazione storica Made in USA.  La sfacciataggine goffa e terribile con cui Hollywood saccheggia, impasta, distorce e ridicolizza i più grandi capitoli della nostra storia è sconvolgente. Così, ci ritroviamo un improbabile Alessandro Magno, un Gladiatorie al servizio di un Imperatore mai esistito, un ridicolo Achille biondo, capellone e cultirista in Troy o  un Re di Francia efebico e con gli occhi azzurri in La Maschera di Ferro. Stomachevole sopra tutti è la storia della Battaglia delle Termopoli narrata in 300, in cui  personaggi deformi e gonfiati si battono contro un Serse che ha l’aspetto di un travestito, senza offesa per la categoria, e la voce di una dama; tuttavia, se non altro, questa pellicola si ispira ad un fumetto che, incredibilmente, pare abbia avuto un suo successo nella terra senz’arte. Non paghi, ed esauriti gli eventi noti ai più, ecco che sceneggiatori e storywriters arrivano dalla terra del cattivo gusto a storpiare e rovinare anche la nostra più sacra ed intima storia locale: quella di Leonardo da Vinci.  Il nostro indiscusso genio, famoso nel mondo per le sue invenzioni e le sue opere, si ritrova protagonista di una serie imbarazzante, brutta, offensiva. Il protagonista è un pompatissimo giovane dai lineamenti affatto italiani le cui avventure, interamente inventate, somigliano a quelle di un Robin Hood de no antri mentre si atteggia da wrestler e spadaccino fra soggetti uno più buffo dell’altro. I dialoghi sono indecenti: termini non più vecchi di cinquant’anni e conversazioni assolutamente impossibili si interpongono fra quello che pare il mal riuscito scimmiottamento di un videogioco di bassa categoria Nella foto una scena della serie, che pur essendo ambientata nel ‘300 nelle campagne toscane, vede due modelli sfoggiare petti depilati sotto quella che sembra essere la collezione autunno-inverno 2013/2014. La prima puntata è stata presentata nientemeno che a Firenze, dove la tradizionale sottomissione psicologica dell’Italiano medio alla non-cultura statunitense ha permesso di negare l’evidenza: la serie fa schifo e la mancanza di rispetto per il nostro eroe, reale e documentato a differenza dei fantocci Marvel, forse anche di più.

Cinema, Televisione

I Soliti Idioti, Severino e il buon senso.

Ridere è qualcosa di molto personale e spontaneo, non lo si può fare a comando ed è complicato anche solo  fingersi divertiti.  La vera risata è impulsiva,  spassionata, ed ha il potere di far perdere completamente il controllo quando improvvisa e genuina. Alcuni riescono a divertirsi con estrema facilità, altri hanno bisogno di freddure complesse o sottili giochi di parole, a dimostrazione che anche la risata ha un suo target ed uno sketch va studiato e preparato soprattutto pensando a chi verrà rivolto. Biggio e Mandelli hanno creato un intero mondo di personaggi e situazioni, alcuni impossibili da resistere per chiunque (l’impiegata delle poste, i ristoratori cinesi di Scandicci, l’amministratore di condominio nazista), altri ancora più complessi da elaborare, perché ridicolizzano categorie normalmente “inattaccabili” portandole ad un livello tale di esasperazione da compiere un intero giro attorno all’offesa, trasformandola in esilarante celebrazione (la coppia di tennisti borghesi razzista, gli omosessuali fin troppo orgogliosi, i bambini sadici dai genitori permissivi). Nonostante ciò, per quanto io abbia cercato di comprendere il senso e l’intenzione del nuovo sketch di “Severino”, non sono riuscito a capire quale leva dell’ironia si cerchi di smuovere con l’utilizzo di un bambino ritardato che non riesce a comprendere le indicazioni di un padre scocciato. Il ragazzino, sapientemente raffigurato con tanto di tic nervosi, smarrimento e sorriso perenne, viene riempito di istruzioni da un padre poco paziente che, tentando di convincere soprattutto sé stesso di capacità che il figlio ovviamente non ha, rifiuta puntualmente le richieste di affetto che Severino gli rivolge, atteggiamento molto comune e, a parer mio, molto triste,  tipico di questi soggetti. Personaggio così ben riuscito da apparire squallido e grottesco, oltre che molto, molto fastidioso.

Televisione

Matt Le Blanc

Dopo Lisa Kudrow, citata nello scorso post, ecco svelato il destino di un altro dei sei amici reduci dal successo internazionale di Friends. Matt Le Blanc è rimasto prigioniero del  suo personaggio,  Joey Tribbiani,  per altri due anni dopo la fine dello show, durante i quali ha recitato nello spin-off di Friends, “Joey” appunto, in cui il goffo ed impacciato attore mancato si trasferisce dalla sorella in California. La serie non ha sortito il successo sperato e per qualche anno Matt è rimasto fuori dalle scene. Veniamo a sapere soltanto adesso che si è occupato di gravissimi problemi di salute che hanno colpito sua figlia. Adesso ci riprova interpretando sè stesso. Nella nuovissima e promettente serie Episodes infatti, una coppia di produttori Inglesi si trasferisce in America per produrre un telefilm, ma il cast salta e la produzione propone loro appunto Matt Le Blanc, che si rivelerà essere quanto di più conforme allo stereotipo dello scialacquone e arrogante attore americano. La serie sta riscuotendo un discreto successo negli States, e nella speranza che venga importata anche da noi o che Sky ci regali un imminente messa in onda, possiamo intanto guardare il trailer ed un piccolo estratto di ciascun episodio sul web. Prossimamente, da Friends, nuove soprese in arrivo on l’esordio di David Schwimmer alla regia in “Trust” con Clive Owen. Stay tuned!

Televisione, Web

Web Therapy

Geniale: una serie ad episodi che va in onda soltanto sul web, con puntate settimanali da sei-otto minuti, giunta ormai alla terza serie. E’ quello che è venuto in mente a Don Roos e Lisa Kudrow, straordinaria attrice che il mondo ha imparato ad amare grazie al ruolo di Phoebe Buffay in Friends, dal 1993 al 2004.  La storia è semplice: l’arrivista e presuntuosa dottoressa Fiona Wallace si professa in grado di psicoanalizzare i propri pazienti via web con sedute di soli tre soli minuti. Asserisce infatti che le sedute di durata superiore sono una perdita di tempo sia per il paziente che per il medico. Col suo inglese goffamente formale e le sue espressioni circostanziali, finisce spesso però nel venire a sua volta analizzata, raggirata e smentita. Infinito il numero delle guest star fra le quali spiccano Maryl Streep e Courteney Cox, già “amica” di Lisa nella fortunata serie e nella vita privata. La serie è gratuita, accessibile e incredibilmente divertente.  L’umorismo utlizzato, raffinato, sintetico e diretto, non è però per tutti. Ecco il link dove guardare tutte e tre le stagioni finora prodotte, ovviamente in Inglese: www.lstudio.com/web-therapy

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Remi Gallard

Un folle, di quelli estremamente intelligenti, furbi e coraggiosi. Un mito vivente, è Remi Gallard. Con la sua faccia da schiaffi ha avuto il coraggio di fare praticamente tutto: una gara di go-kart travestito da Super Mario nel traffico parigino, il bagno i numerose fontane, una gara di corsa con un tram, una gara di sumo all’interno di una rotatoria, funerali ai polli nelle macellerie e tanto, tanto altro, spesso vedendo arrivare la polizia e qualche volta scappando pure da quella. Cercatelo su YouTube. Non so come definirlo,  se non una leggenda. Soprattutto, è tanto, tanto divertente…. finché non si farà male! In questo video mangia gratis da McDrive semplicemente dicendo al primo sportello di non aver ordinato niente, aspettando poi che quello dietro ordini e facendosi consegnare il pasto dell’auto precedente. Fantastico!

Funny Life, Televisione

Eye in the Sky

♫…looking at youuuuu I can read your mind ♪. Magari Sky mi leggesse la mente! Sono ufficialmente arrabbiato. Sempre le stesse cose  a orari identici. Se hai un orario di lavoro regolare, puoi scordarti i 3/4 della programmazione di Sky, che si appiccica a quelle due volte al giorno, entrambe fuori dal tuo tempo. Io capisco che vogliano vendere MySky e spingerci a registrare, ma cribbio! Non è possibile che il meglio dei telefilm sia tutto in orari impossibili. Dirt, Cougar Town, Samantha Chi?, Ugly Betty, tutti out of time. E mi ritrovo sempre a con Una mamma per amica e cinquecento sit com poliziesche tutte uguali dove cambia soltanto la città di ambientazione. In questi mesi sono passato ai canali 400. Megastrutture l’ho esaurito:  nel senso che finito il ciclo di quei tre grattaceli, due ponti e una diga, ricominciano all’infinito…  Lo stesso dicasi per Come è Fatto, ormai so persino come si produce un reattore nucleare. Gli Ultimi Paradisi sono davvero pochi… pure quelli tutti già visti… Mi domando se valga la pena andare avanti. Tant’è che pure le reti classiche stanno prendendo esempio: o sono io che ho le allucinazioni oppure mi è parso di vedere Pino Insegno che contemporaneamente conduce Reazione a Catena su Rai1 e Mercante in Fiera su Italia1. Ehhh? Non penserete mica che mi riduca a riguardare Il ragazzo di 380 chili oppure Malattie imbarazzanti?