Toscana, Trekking

La Via Vandelli, Alpi Apuane

 
Qualche settimana fa, grazie ad un servizio in TV, ho scoperto l’esistenza di questo affascinante percorso escursionistico dalla storia bizzarra e folle. Una strada in pietra a secco costruita nel XVIII secolo dall’Abate Vandelli su commissione del Duca di Parma per collegare la città ducale con Massa, ambito sbocco al mare appena ottenuto dal Granducato. Non potendo attraversare gli Stati confinanti ed avendo come unica opzione un territorio estremamente limitato ed impervio, l’Abate Ingegnere fu costretto ad inventare un sistema di costruzione e misurazione inedito, arrivando a realizzare un’opera imponente e robusta che fu in grado di consentire il transito di carrozze, carri e persino convogli estremamente pesanti trasportanti marmo di cava. 

Raggiunto il piccolo abitato di Resceto, in provincia di Massa ed a soli dieci minuti dal capoluogo, la strada termina in un piccolo parcheggio dove arriviamo intorno alle 9:30. Notiamo subito il cartello del CAI e ci incamminiamo sull’unica strada che lascia il parcheggio, asfaltata ancora per pochi metri prima di diventare bianca.  Solo cinque minuti di cammino, e la stretta valle solcata da un profondo canalone si apre mostrando tutta l’imponenza dei monti che la abbracciano. Davanti a noi  serpeggia bianchissima la Via Vandelli, come una candida Muraglia Cinese, aggrappata a sbalzo su pendici quasi verticali. Gran parte del percorso è su fondo sassoso-ghiaioso rendendo piuttosto faticosa l’ascesa, noi non abbiamo portato i bastoni da trekking ma mi sento di consigliarli, soprattutto per la discesa e la presa instabile degli scarponi sulla ghiaia  e le pietre bianche sconnesse. Superiamo un ponticello in ferro ed attacchiamo i primi dei numerosi tornanti che ci attendono, ritrovandoci presto dentro una fitta nebbia, forse nuvole basse, poi, immediatamente prima di raggiungere il primo traguardo della giornata, fuoriusciamo dal bianchissimo vapore e scopriamo un cielo azzurro e sereno al di sopra di un mare di nebbia e nubi dal quale spuntano solo le cime dei monti circostanti. In poco meno di sei km di cammino abbiamo coperto mille metri di dislivello e raggiunto la Terrazza Vandelli, uno spiazzo verde mozzafiato a cavallo dei due versanti delle Apuane e dal quale si riesce a vedere sia in direzione del mare che in direzione dell’entroterra toscano.  

La Terrazza Vandelli

Si ha quasi la sensazione di fluttuare su di un tappeto volante sopra ad un mare lattiginoso, ma mi dicono che in giornate terse si riesce a vedere dalla Corsica alle Alpi Marittime, dagli Appennini oltre Firenze alle Colline Metallifere.  Proseguiamo alcuni metri nel versante opposto oltre la terrazza e raggiungiamo il Rifugio Nello Conti, 1442 metri di altitudine, purtroppo chiuso. Usufruiamo ugualmente dei tavolini e dell’acqua potabile a disposizione per il pranzo, affacciati a strapiombo sulla bassa Garfagnana. Il rifugio è aperto nei weekend dal 15 Giugno al 15 Settembre. Dopo pranzo, superata ancora una volta la Terrazza, raggiungiamo in 45′ il Passo Tambura, a 1620 metri s.l.m: è qui che la Via Vandelli raggiunge il suo punto di massima elevazione e si dirige a Nord Est in direzione dell’Appennino Parmense. Da qui è inoltre possibile proseguire in direzione della vetta del Tambura per poi discendere dal versante settentrionale e, in un circuito ad anello che richiede in tutto 8/9 ore, ritornare a Resceto, ma la brevità delle giornate di Novembre non ci permette di proseguire oltre e così torniamo sui nostri passi, percorrendo un totale di 15km in circa 4h 30′ al netto delle soste. 

La Via Vandelli
 

E’ un percorso indicativamente adatto a tutti, un po’ di fiato ed una buona resistenza alla salita costante premiano l’escursionista con paesaggi e panorami di struggente bellezza e rara genuinità in un silenzio assoluto e avvolgente. Alcuni punti nel tratto compreso fra la terrazza ed il Passo Tambura richiedono maggiore attenzione a causa del suolo franoso e del selciato spesso molto spesso, a parte questo non ho notato pericolosità particolari. 

Il video della giornata

Alcuni link utili

La Via Vandelli

Cai Massa

 

Rifugio Nello Conti
 

Toscana, Trekking

Baratti (Li)

IMG_0615Estate 2015, tre soli giorni di mare! Non sono riuscito a fare di meglio quest’anno, ma i tre giorni trascorsi a Baratti a inizio Settembre secondo me valgono quindici giorni in Versilia. Amo la Toscana, la mia regione, ma dalla zona in cui vivo (appenino pratese) è molto faticoso ed impegnativo raggiungere un mare che accontenti le mie esigenze di tranquillità, pulizia e relax. Versilia e Riviera Romagnola sono le destinazioni più vicine, ma preferisco fare a meno del mare che partire verso spiagge attrezzate ed affollate bagnate da mari opachi e noiosi. Con appena mezz’ora di guida in più, si arriva in Liguria oppure sotto Livorno, dove il mare comincia ad assomigliare all’idea che ne ho io. Baratti, scoperto solo quest’anno, è un vero paradiso: si tratta di una baia tranquilla e selvaggia con al centro una spiaggia scura e ferrosa, ricca di resti etruschi, e con alle estremità sentieri panoramici che conducono a luoghi più segreti ed incontaminati. Verso nord, dal piccolissimo abitato di Baratti, un sentiero brevissimo e pianeggiante conduce a Cala Pozzino, una piccolissima spiaggia sassosa che custodisce un mare dal fondale ricco e trasparente. All’altro estremo della baia troviamo il porticciolo di Baratti, superato il quale si trovano rispettivamente il Ristorante Canessa e Canessa Camere, dove ho soggiornato. Le quattro camere disponibili sono direttamente sul mare, ciascuna provvista di balcone attrezzato a meno di dieci passi dall’acqua. Alba e tramonto trasformano questa sistemazione già ottima ed economica in qualcosa dal lusso inestimabile. Da qui partono i sentieri per Populonia Alta (40′), Buca delle Fate (1h 10′) e Piombino (3h). Almeno in Toscana, e per il mio gusto, io non ho trovato finora luogo più bello e soddisfacente di questo, mi auguro che l’Ente Parco che ne tutela la conservazione storica e naturalistica, continui ad impedirne la trasformazione e che resti sempre tutto così com’è: un paradiso

Trekking

Da Piazza a Piazza 2015

Lorenzo ed io all'Arrivo a Montepiano (primo giorno)
Lorenzo ed io all’Arrivo a Montepiano (primo giorno)

Anche quest’anno sono sopravvissuto al “Da Piazza a Piazza – una gita nel passato”, camminata annuale che, sul crinale dei monti, circuisce la valle del fiume Bisenzio nel territorio della Provincia di Prato. La passeggiata, di particolare lunghezza (circa 77km secondo il mio GPS), ha avuto origine da una scommessa fra due Pratesi un po’ burloni che vollero dimostrare di poter andare da una piazza all’altra della città senza attraversare il fiume Bisenzio. Sebbene in direzione opposta all’originale, il percorso è lo stesso di allora e si è appena conclusa la trentunesima edizione, la settima per me.

La partenza è alle 7 del mattino dal quartiere Santa Lucia di Prato, dove, indossata la pettorina numerata, si sale subito il colle Malaparte, sulla cui sommità, raggiungibile in una quarantina di minuti, riposa dal 1957 lo scrittore pratese dal quale prende il nome. Apposto il primo timbro sulla pettorina, si procede nel bosco verso la Collina di Prato, per poi affrontare la temuta salita verso i Faggi di Javello, la cui porzione denominata “Pietraia” spaventa ogni anno anche i più allenati per pendenza e lunghezza. Al termine della salita e con la lingua a terra, incontriamo un piccolo ristoro gestito dalla VAB (Vigilanza Antincendi Boschivi), dove troviamo frutta, dolci ed un rifornimento idrico di acqua e succhi di frutta. Il tratto successivo è molto suggestivo sia per l’imponenza dei faggi spesso avvolti dalla nebbia o dalle nuvole, che per la presenza di alcuni monumenti ai caduti della Seconda Guerra Mondiale. Non si incontrano particolari difficoltà o salite fino al ristoro successivo, dove ci attendono crostini di salsiccia e salumi, uova sode, formaggi ed altre delizie e dove, apposta la firma sul registro, comicia la salita denominata “Straccalàsino”, che in dialetto locale significa sfianca, sfinisci, stanca l’asino. al termine della salita, sul crinale dei monti, incontriamo ed imbocchiamo il sentiero GEA 00. Questo Sentiero, la cui sigla sta per “Grande Escursione Appenninica”, ha origine sui monti della Verna nell’Aretino e conduce in Liguria abbracciando Casentino, Mugello, Appennino Tosco-Emiliano, Montagna Pistoiese, Garfagnana e Lunigiana. In questo tratto, è un sentiero ampio e pulito che segue un crinale ricoperto da un fitto bosco che talvolta si apre ad ovest permettendo viste mozzafiato in direzione della Valle del Limentra e dell’Abetone. Il tratto termina al Rifugio Pacini, in località Pian della Rasa, dove ci attende un piatto di pasta, un timbro sulla pettorina ed un meritato riposo, per quanto mi riguarda senza scarpe. A questo punto, l’argomento sulla bocca di tutti è uno soltanto: il temuto Monte Zucca, che dopo un’ora di cammino dal Rifugio Pacini, minaccia la resistenza di tutti con la sua interminabile salita dalla pendenza crescente e priva di curve, un momento in cui regna il silenzio assoluto fra gli escursionisti. A spingere i piedi, sui cui gravano ormai quasi trenta chilometri, è il pensiero del ristoro successivo, che ci aspetta proprio oltre il monte Zucca, all’interno del Tabernacolo di Gavigno. Qui troviamo ogni anno una deliziosa porchetta, pane e pomodoro, formaggi, vino e tanta allegria: al primo boccone il monte Zucca è già dimenticato e la mente volge al Monte delle Scalette, ultima salita della prima giornata di cammino. Lasciato il Tabernacolo, si sale subito in un bosco via e via più rado all’interno di un sentiero serpeggiante e tavolta incastonato fra le rocce denominato Roncomannaio, fino ad incontrare una parete di roccia bianca sulla quale trova posoto un ripido sentiero a zig-zag che, non fosse per l’irregolarità dei gradini, sembrerebbe appunto una scalinata. Dopo aver calpestato per alcuni metri il suolo Emiliano, rientriamo in Toscana e raggiungiamo “Quelle della Macedonia”, nome dell’ultiomo ristoro, dove un gruppo di volontarie prepara dal giorno prima montagne di macedonia, niente di più perfetto a questo punto della giornata. Scesi quindi fino a Montepiano, si raggiunge l’arrivo del primo giorno. In moltissimi si fermano per la notte nelle strutture locali o si organizzano per il campeggio, io fortunatamente riesco sempre a rientrare a casa dove dopo una doccia che sembra un’estasi, crollo distrutto in preda al dolore muscolare ed alla febbre da sforzo, che so essere ormai parte del gioco. Alle sei e mezza, io e Lorenzo, mio compagno di avventure di questa edizione e per la terza volta, siamo già a Montepiano per ripartire. L’aria è fresca e la luce meravigliosa, ma i primi passi sono quelli che più ricordano le fatiche del giorno precedente ed occorrono alcune centinaia di metri prima di scaldare i muscoli e sopportare i vari doloretti. Superato un breve tratto boscoso in saliscendi, si raggiunge la strada Montepiano-Barberino de Mugello, e la si segue fino al Parco Memoriale della Linea Gotica, dove imbocchiamo un tratto di strada sterrata molto ampia, solitamente cosparsa di pozzanghere di grandi dimensioni. E’ un tratto piuttosto monòtono, sicuramente il meno entusiasmante dei due giorni,e quello con meno variazioni, ad eccezione dell’ampia praterìa che circonda la fattoria de “Le Soda”. Il primo ristoro si trova a circa tre ore di cammino dalla partenza ed è eletto quasi all’unanimità come il migliore dell’intera manifestazione: a Montecuccoli infatti ci attende una grigliata spettacolare arricchita da crostini e tante altre delizie, nel tipico clima gioviale e di festa che si respira per tutti e due i giorni. Lasciamo a malincuore l’odore di carne alla brace per iniziare la salita che ci porterà sui Monti della Calvana. Si tratta di una salita poco impegnativa e dolce, che conduce verso il mio paesaggio preferito: le praterie sommitali. La Calvana infatti, prende il nome dal suo essere “calva” di alberi ed è famosa oltre che per gli sconfinati prati verdi, anche per le mucche ed i  cavalli che vivono in totale libertà per tutto l’anno e sono i padroni assoluti di questo territorio. Questo è anche il luogo dove sono cresciuto e conosco più di ogni altro, infatti, dal ristoro VAB che raggiungiamo in poco più di un’ora di saliscendi fra i prati, casa mia dista appena 25′ a piedi verso Ovest. Rifocillati di liquidi e frutta, saliamo nel bosco del Poggio Mandrioni fino alle praterie successive, quelle più ampie e vaste dove il rimboschimento operato dal Governo Fascista degli anni ’30 non è arrivato. E’ quassù che si incontra il maggior numero di mucche e cavalli ed è quessù che si trova la vetta più alta della seconda giornata, il Monte Maggiore, 916 metri slm. Questo paesaggio ha però il suo rovescio della medaglia, e ce lo ricordano le discese ripide, brulle e sassose che dalla sommità conducono rapidamente al Crocicchio di Valibona, dove si incrociano le strade provenienti dal versante Fiorentino e quello Pratese, alla base del Monte Maggiore e del Monte Cantagrilli. Il ristoro è gestito dal negozio di sport Campione, ed offre insalate fredde, ribollita, panzanella ed altri piatti della tradizione locale, oltre ad una fornitura di integratori di sali minerali, indispensabile per affrontare l’ultimo tratto. Se, come quest’anno, il tempo è bello, da questo momento non ci sarà più ombra fino all’arrivo e la salita che conduce alla croce metallica apposta sul Cantagrilli è decisamente sfiancante. Eppure, ogni volta, tutta la fatica scompare all’aprirsi del panorama che si gode da quassù. In una giornata tersa come ieri, c’è da rimanere senza fiato: si può vedere più di mezza Toscana, dal Mugello al Falterona, da Le Cornate al Monte Serra e fino alle Apuane, il tutto a fare da sfondo alla piana Firenze-Prato-Pistoia che si domina nella sua interezza e riconoscendo chiaramente il centro di tutti e tre i capoluoghi. Poco più avanti, una seconda croce posta subito sotto la vetta de La Retaia,  offre un vertiginoso sguardo sul centro di Prato che si trova così sotto di noi da farci sembrare sospesi. Invece, ahimé, è ancora lontano e scendere fino in città richiede uno sforzo non inferiore alla peggiore delle salite: le ginocchia implorano pietà e le caviglie minacciano ammutinamento, soprattutto nel tratto asfaltato finale, ma per quanto distrutti, feriti, dolenti e sudati si possa arrivare al traguardo, è sempre la soddisfazione a vincere su tutto. Io non vedo già l’ora che sia l’anno prossimo, e voi, che aspettate? Visitate: http://www.dapiazzaapiazza.it

Percorso GPS Giorno1

Percorso GPS Giorno2

Italia, Trekking, Veneto, Viaggi

La Lunga Via delle Dolomiti

Una Domenica perfetta come non ne capitavano da settimane, in questa estate piovosa e particolarmente mite. Da mesi avevo letto a proposito di questo percorso, da molti considerato fra i più belli al mondo, e finalmente ho avuto modo di verificarne di persona la bellezza straordinaria. La Lunga Via Delle Dolomiti è una ciclabile che segue il percorso di un’antica ferrovia dismessa nel 1964 e che collegava Dobbiaco in Alto Adige con Calalzo di Cadore in Veneto passando per il passo di Cimabanche, confine fra le due regioni, ad una altitudine di 1529m s.l.m.  E’ possibile raggiungere Calalzo di Cadore in treno, sebbene ad oggi il servizio di trasporto bici su treno da Belluno sia incredibilmente soppresso. Noi, in due, siamo arrivati in auto dopo aver prenotato telefonicamente il Bike n’Bus, servizio di trasporto con bici al seguito che copre tutto il percorso. Chi sceglie di percorrere la tratta Calalzo-Cimabanche in salita, troverà già ad inizio pista un servizio di Bike Service con noleggio e riparazione aperto dalle 8:00. Noi, non molto allenati, abbiamo programmato di percorrere la pista in discesa. La corsa mattutina parte dalla stazione del treno alle 8:50 e ragiunge Cimabanche alle 10:10 e Dobbiaco alle 10:30. Partire da Dobbiaco significa affrontare un dislivello di 350m appena partiti, ragione per cui abbiamo scelto il valico come partenza.

Raggiunto il passo di Cimabanche, siamo partiti immediatamente  verso Cortina d’Ampezzo. Il percorso si addentra subito in un bosco di altissime conifere e si pedala su un fondo di ghiaia pressata costeggiando un torrente che dopo 2km si apre nel Lago Nero. Si scende agevolmente, con una lieve pendenza, raggiungendo in breve la chiesetta dei Santi Biagio e Nicolò di Ospitale, dove sono presenti affreschi del 1200. Il torrente alla nostra sinistra precipita in una profonda gola che superiamo con un ponte e che ci porta sul tratto che fiancheggia il monte Pomagagnon. La vista si apre sull’intera vallata e si ammirano le vette Croda Da Lago, Cinque Torri e Tofane, mentre, superati due tunnel, si raggiunge Fiames e la prima delle numerose stazioni dismesse dallo stile inconfondibile e fiabesco. Poco prima di entrare a Cortina d’Ampezzo, la pista diventa asfaltata e fiancheggiata dal praterie verdissime e perfette. Decidiamo di fermarci per il pranzo al sacco su una panchina dal panorama mozzafiato, prima di parcheggiare le bici e concederci una visita di Cortina. Lasciato il famoso centro turistico, la pista, ancora asfaltata, si dirige verso San Vito di Cadore, allontanandosi più volte dalla Statale 52 prima di ritornare sterrata. Sulla destra appare l’imponente monte Pelmo, o Trono di Dio, e sulla sinistra si è sovrastati dall’Antelao, vetta più alta delle Dolomiti Bellunesi. Superato l’abitato di Vodo di Cadore, il percorso diminuisce la pendenza e si incontra qualche trascurabile salita. Seguono Borca di Cadore, Venas di Cadore, Valle di Cadore, Tai di Cadore e Pieve di Cadore, prima di raggiungere il luogo di partenza, posto a 741m s.l.m.

E’ in fase di completamento il tratto Calalzo di Cadore – Belluno, che andrà a chiudere un percorso straordinario che permetterà di andare da Lienz, in Austria, fino a Venezia e Rovigo su pista ciclabile e che fa del Veneto una regione dal record ineguagliato in quanto a chilometri di Piste Ciclabili. Tutte le informazioni sul sito ciclabiledolomiti.com.

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Italia, Toscana, Viaggi

Villa la Màgia, Quarrata

20140703-174553-63953618.jpgVilla la Màgia, l’accento è d’obbligo, è un vero gioiello! Una scoperta casuale e sorprendente, un luogo rimastomi incredibilmente sconosciuto fino a pochi giorni fa nonostante la vicinanza e l’importanza. In posizione dominante sull’unica collina esistente attorno a Quarrata (Pistoia), a parte il Montalbano, questa villa ha fatto parte del Barco Reale insieme alle ville Medicee di Artimino e Poggio a Caiano, vale a dire della zona di caccia della Famiglia Medici e dei loro ospiti. Sviluppatasi da una modesta casa-torre e via via ingrandita, oggi questa villa è Patrimonio dell’Umanità UNESCO insieme ad altre 10 ville Medicee in Toscana. Ma tutto questo potrete trovarlo facilmente su Wikipedia.20140703-174556-63956336.jpg Quello che non troverete online è la sorprendente ed affascinante quantità di aneddoti e curiosità, sparsi nel giardino e negli interni,  che la visita guidata tenuta dallo Storico dell’Arte Daniele Franchi ci ha fatto conoscere e rivivere. La villa infatti è di proprietà del Comune da poco più di un decennio, e fino a qualche anno fa ha ospitato diversi artisti contemporanei che hanno tenuto qui le loro mostre ed hanno lasciato più di una traccia sotto forma di oggetti, opere, installazioni e memorie sparse 20140703-174558-63958648.jpgovunque, e che sono ormai una componente fondamentale di questo luogo. Non starò qui a svelare la successione di bizzarri manufatti che si confondono con la vegetazione e le strutture, vorrei invece consigliare una visita dal vivo, sicuro del potere magnetico che subirete da tutto ciò. Troverete tutte le info sul sito ufficiale: http://www.villalamagia.com

Toscana

Incontri nell’orto

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Srī Lanka, Srī Lanka, Viaggi

Sri Lanka (Ceylon)

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Questa volta voglio annotare le impressioni di viaggio mentre ancora mi trovo qui, nell’isola di Ceylon, la lacrima dell’India, la terra del tè, lo Srī Lanka, che significa “isola risplendente”. A risplendere sono i bianchi sorrisi di questa gente dagli occhi gentili e i modi cordiali, persone per lo più molto povere e con scarsi mezzi ma generose ed accoglienti. Uomini dai variopinti sarong, donne dai lineamenti perfetti che sfoggiano lucidi sari e perfette acconciature, bambini che vanno e vengono da scuole in uniformi bianche e linde come nel miglior spot del detersivo e impiegati che si affollano pazienti su autobus lanciati a folle velocità nelle loro camicie incredibilmente linde e stirate anche a fine giornata, nonostante il caldo opprimente. È evidente come pulizia e cura dell’abbigliamento siano importanti mentre è davvero misterioso il metodo col quale si mantengano così perfetti e impeccabili in un clima così impietoso. Il sole regola le giornate. Alle sei, mentre albeggia, al suono delle centinaia di uccellini si unisce il fruscio delle scope di saggina: sono tutti già in piedi a spazzare davanti alle proprie abitazioni. Poco dopo, dalle foreste del triangolo d’oro alle cittadine balneari del sud, si sente la musica del camioncino del fornaio che consegna pane e dolci: tutti con lo stesso brano: Per Elisa di Chopin. I tuk tuk, onnipresenti, sono già in giro e gruppi di bambini in bianco ed azzurro si incamminano verso le scuole. Ebbene, lasciando alle foto il compito di mostrare i siti archeologici e le meraviglie naturali (foto che aggiungerò al mio ritorno) e prima di passare al diario, concludo dicendo che non fosse per l’orrenda abitudine di gettare i rifiuti dove capita, rendendo le strade un fastidioso corridoio fra le bottiglie e le buste di plastica, questa terra potrebbe essere davvero il paradiso.

DIARIO DI VIAGGIO

DAY 1: COLOMBO

Colombo di Domenica ci accoglie deserta. Lonely Planet segnala siti di interesse che si rivelano in realtà molto poco attraenti, tutti i negozi sono chiusi ed i guidatori di tuk tuk, come già sperimentato in Thailandia, provano ad obbligarci alla visita non richiesta di venditori di pietre preziose anziché trasportarci semplicemente alla destinazione richiesta. Calura e stanchezza accumulata in un volo insonne, a causa dei bambini urlanti, ci portano a preferire la stazione di Fort come luogo di attesa (interminabile) del treno per Anuradhapura. Arriviamo alle 1840, col desiderio di sbarazzarci del pesante zaino e fare una doccia. Il B&B Senowin è grazioso, la camera semplice ma carina, una rapida cena e poi, finalmente, a letto.

DAY2: ANURADHAPURA E MIHINTALE

Noleggiamo le bici e partiamo prestissimo per la vecchia Anuradhapura. Si pedala bene nonostante il caldo e seguiamo l’itinerario da sud a nord nell’immensa area delle rovine. Togliamo le scarpe come da costume locale per accedere ad ogni tempio: il pavimento è rovente e spesso ci ritroviamo a correre verso l’ombra. La vegetazione è stupenda e il sito meraviglioso, ma l’area è davvero immensa. Alle 14 siamo già nella zona nord, quella del Monastero di Abhayagiri, dove si concentrano i siti più famosi: le Twin Ponds, la Elephant Pond ed il Buddha seduto. Terminiamo la visita e rientriamo con l’intenzione di visitare già oggi anche Mihintale. Pranziamo in un ristorante a buffet di Riso & Curry locale: ci si lava le mani e, dopo aver posto una gande foglia di loto sul piatto, si sceglie la qualità di riso e la varietà di accompagnamenti da una fila di contenitori in terracotta: il cibo è ottimo e la spesa ridicola. Preso un autobus, raggiungiamo la ripida scalinata che ci porta sulla vetta di questa collina dove, si narra, l’antico Re di Anuradhapura si convertì al Buddhismo. La vista è splendida e fino al tramonto, in tutta calma, ci godiamo questo sito assieme a pochissime altre persone. Organiziamo con un guidatore di tuk-tuk il trasporto verso Sigiriya per l’indomani, comprensivo di soste al Buddha di Aukhana ed alle rovine di Ritigala: ci sembra il modo migliore per non saltare questi due siti come saremmo costretti a fare usando autobus o treno. Ceniamo in un “hotel”, nome che qui è sinonimo di trattoriai: mangiamo un Kottu Rotti, tagliolini saltati con verdure carne e formaggio mentre assistiamo, con gli altri commensali, alla partita di cricket SriLanka-Australia in tv.

DAY3: VERSO SIGIRIYA

L’autista col quale avevamo preso accordi, inspiegabilmente, non si presenta all’appuntamento e dobbiamo chiamarne uno tramite il B&B. Si tratta di un signore piuttosto anziano con un vecchio tuk tuk che per la stessa cifra ci porterà a destinazione eliminando però la sosta a Ritigala. Il viaggo è lento e piuttosto lungo e quando finalmente arriviamo al Buddha di Aukhana ci sembra di aver viaggiato per giorni mentre in realtà sono passate appena due ore. Questo Buddha è stato scolpito da un unico blocco di roccia, al quale rimane unito per la schiena. C’è anche una scolaresca in gita a visitarlo che aggiungendo quel tocco di magia in più all’intero sito. Ripartiamo, sembra che il nostro autista non sia molto pratico delle strade ma dopo un paio di direzioni sbagliate arriviamo comunque nel caos di Dambulla che però, cambiando programma, decidiamo di non visitare perché troppo stanchi e perché il grosso zaino è veramente insopportabile a queste temperature. Ci trasferiamo a Sigiriya. Inizialmente ci prende un po’ di sconforto: il Choona Lodge è sperduto nella jungla, non esiste un centro urbano (nuovo errore di Lonely Planet) e tutte le comodità sono irraggiungibili a piedi. Tentiamo infatti di seguire il sentiero di accesso al sito Unesco per poi aggirarlo a sud e trovare il paesino indicato dalla guida, ma le distanze sono veramente grandi e impieghiamo oltre due ore di cammino, sebbene in un paesaggio straordinario, per poi scoprire che non c’è alcun paese, ma una fila di casupole con un ortolano e un alimentari. Il caldo ha la meglio e decidiamo di rientrare. Prima però, su suggerimento del gestore, facciamo una passeggiata nei dintorni del nostro alloggio ed è qui che apprezziamo maggiormente la posizione in cui ci troviamo: oltre il nostro giardino, una grande roccia permette la vista su un lago molto selvaggio pieno di uccelli, bestiame e persone che fanno il bagno: il tramonto è superbo. La cena, cucinata dalla proprietaria, è nuovamente a base di riso e curry ma è deliziosa, la migliore finora. La serata la passiamo guardando una serie tv sull’iPad.

DAY4: LA SCALATA DI SIGIRIYA

Mancano pochi minuti all’apertura della biglietteria e noi siamo già davanti allo sportello. Ovunque abbiamo letto quanto sia indispensabile partire presto per evitare il caldo, ma quello che mi preme maggiormente è evitare la folla e infatti, accediamo ai meravigliosi resti dei giardini reali che circondano la formazione megalitica di Sigiriya per primi, nella fioca luce dell’alba. Ci dirigiamo dritti verso gli scalini che portano alla sommità, rimandando la visita dei giardini al ritorno. E’ una salita lunga e faticosa ma altrettanto straordinaria ed abbiamo la fortuna immensa di viverla tutta per noi, nel silenzio assoluto. Giunti sulla vetta, dove solo un solitario cane randagio aspetta la nostra compagnia, ci prendiamo tutto il tempo per il riposo, le fotografie e l’esplorazione. Ci sediamo su un muretto a strapiombo dal quale si ammira l’area circostante, fino alle montagne a sud verso Kandy. Quando ripartiamo, l’area brulica di turisti e nella discesa incrociamo un unica interminabile processione di persone che, mi spiace per loro, non sapranno mai cosa significa vivere questo posto in solitudine e pace. Visitiamo tutta la zona sottostante con calma e sempre da soli, mentre tutti stanno ancora arrampicandosi e nessuno è ancora ridisceso. Nella tarda mattina siamo già a Dambulla, il bus ci lascia abbastanza vicino all’ingresso delle famose grotte dai numerosi Buddha, ma decidiamo di pranzare prima di affrontare questa nuova salita. Il ristorante, dove ancora una volta ci viene servito riso e curry, è gestito da un signore che, appena scoperta la nostra provenienza, insiste perché Nicola parli al telefono col figlio che ha vissuto a Firenze e si è sposato con una italiana. La salita al tempio di Dambulla è ripida ed estenuante, siamo costretti a fermarci un paio di volte prima di arrivare a destinazione, ho la sensazione di respirare fuoco tanto è calda l’aria. Il tempio è particolare, opulento e colorato all’interno, tuttavia artisticamente parlando non contiene poi queste grandi opere d’arte se comparate alle nostre dello stesso periodo: vero è che ogni etnìa ha avuto ritmi e storia diverse, ma in assenza di ragioni religiose, onestamente, osservare decine e decine di statue in cemento identiche fra loro e realizzate con uno stampo, non riesce ad affascinarci granché. Ritorniamo al nostro alloggio ed il figlio quindicenne del nostro albergatore, che compie gli anni proprio oggi, è davanti casa ad attendermi perché, come invece avevo dimenticato, avevo promesso di fare una partita a Cricket con lui. Sono distrutto ma non so dire di no ed anche se la cosa è molto divertente conto i minuti che mancano al tramonto per potermi finalmente riposare. Lui e la sorellina sono molto bravi a battere ma quando la palla viene lanciata in giardino o nella boscaglia oltre la strada, correre fra sassi e sterpaglie è un vero dramma per i miei piedi occidentali così snaturati.

DAY5: POLONNARUWA

Nuovo tour, nuovo autista. Un tuk tuk ci preleva alle 7:30 alla volta di Polonnaruwa, 55km a est di Sigiriya. Questo autista, gentile ed umile come, ormai mi pare di capire, tutti i ceylonesi, ci fa visitare le rovine di questa antica capitale succeduta ad Anuradhapura, aspettandoci fuori da ogni tempio e palazzo. Preoccupato che ci si possa perdere, ha insistito per fornirci il suo numero di cellulare e ci guida da sud a nord selezionando per noi quali e quanti punti di interesse vale la pena visitare e quanto tempo dedicare ad ognuno. Attorno a mezzogiorno, decidiamo di invitarlo a pranzo lasciando scegliere a lui il ristorante anche perché tanto la pietanza, abbiamo ormai capito, è la stessa. Proviamo a consumare il riso con le mani come da costume locale, ma ci risulta impossibile nonostante l’impegno, e ci arrendiamo ad un comodo cucchiaio. Sulla via del ritorno il nostro autista rallenta davanti a quella che sembra una festa all’aperto, sbirciando dentro con tanto entusiasmo ed interesse che gli propongo di fermarci perché anche per noi è invitante. Siamo a Giritale ed è in corso una festa di fine scuola con vari giochi per bambini organizzati all’aperto: un balletto di piccole ed aggraziate bimbe in arancione, il tiro alla fune dei maschietti ed il gioco della seggiola (tale e quale al nostro), dove girando attorno ad un cerchio di sedie, allo smettere della musica bisogna sedersi eliminando chi resta in piedi. Rientrati, nel nostro piccolo angolo di paradiso ed io, non pago e sollevando Nicola dalla mia incapacità di stare fermo, noleggio una bici e mi dirigo nella vegetazione, seguendo le strade di terra battuta, verso Pidurangala, una roccia simile a Sigiriya: la mia idea è quella di individuare i resti della città esterna alle mura che, secondo una mappa vista al museo, si trova proprio alle spalle dei giardini reali. Insisto fino a spingermi nella vegetazione fitta, graffiandomi le braccia e riempiendo gli abiti di pillacchere appuntite, ma non appena decido di rientrare, con l’urgenza data dal tramonto imminente e dalla pericolosità del buio a causa degli elefanti vaganti, mi accorgo che la ruota posteriore è forata! Spingendo la bicicletta, affretto il passo verso la zona abitata ma la distanza è veramente troppa per anticipare il buio: naturalmente, non c’è segnale al cellulare. Improvvisamente, ecco il mio salvatore: un ragazzo in moto carica me e la bici (che da vero equilibrista tengo sospesa fra noi due) e mi riporta al Lodge.

DAY6: KANDY

Esiste un solo autobus che collega Sigiriya a Kandy e passa alle 6:20 ma siamo disposti a tutto pur di prenderlo ed evitare i due cambi altrimenti necessari. Oltretutto, come ci avevano detto, ci sono un sacco di posti a sedere a disposizione e potremo stare comodi da subito e per tutto il viaggio. Mi era però sfuggito che, oltre alla distanza, avremmo dovuto affrontare un lunghissimo tratto di tornanti a strapiombo, superata, la città di Matale. Arriviamo strapazzati a dovere e con un po’ di nausea attorno alle 11:30 e l’albergo, il Kanda Uda, non ha ancora la stanza pronta per noi. Visitiamo il centro di Kandy un po’ delusi da questa cittadina: ennesima bufala della Lonely Planet che descriveva questo centro, patrimonio Unesco, come un gioiellino coloniale tranquillo e “sonnacchioso” mentre in realtà è un inferno di traffico, clacson e gente pronta a pedinarci per proporci i più inutili affari. Pranziamo in una terrazza panoramica al ristorante History, che dichiara ufficialmente la fine della nostra fiducia in Lonely Planet, e rientriamo in hotel, fortunatamente scoprendo che effettivamente il lungolago a sud del Tempio del Dente di Buddha merita una passeggiata. Disgraziatamente, decido di provare a radermi i capelli con il rasoio che abbiamo portato, ma sia io prima che Nicola poi, facciamo un disastro di scalature e chiazze pelate ed il rasoio si scarica completamente prima che si possa rimediare allo scempio: usciamo di nuovo, stavolta alla ricerca di un barbiere. Veniamo accompagnati da un coiffeur del centro molto spartano ma molto pulito che, capita la situazione, si mette al lavoro regalandomi una perfetta sfumatura al prezzo di appena 250 rupie (nemmeno 2 euro). Nicola mi sembra un po’ provato perciò cedo alla sua richiesta e, a malincuore, accetto di andare da Pizza Hut per cena. La pizza non è male, ma ci costa come tutti i pasti fatti fin qui messi insieme.

DAY 7: IL TRENO PER ELLA

E’ arrivato il giorno del treno, quel treno famosissimo che si vede nei documentari e nelle riviste e che si arrampica fra le piantagioni di tè su per i monti della Hill Region. Prendiamo quello delle 8:30 e ci accomodiamo in seconda classe. Ci sono tanti altri turisti a bordo e le 7 ore di viaggio sembrano non spaventare nessuno. In effetti, il panorama muta così spesso che ha un effetto magnetico: scatto centinaia di foto di campi, laghi artificiali, corsi d’acqua, risaie e persino foreste di conifere che ignoravo potessero crescere quaggiù. Arriviamo ad Ella riposati e sereni e quando scopriamo la bellezza della camera che ci attende qui siamo ancora più felici. La cittadina è carina e raccolta, ad una altitudine di 1000 metri. Ci prendiamo un Lassi, bevanda a base di yogurt e frutta, e ci rifugiamo in camera con la cena da asporto sfuggendo ad un acquazzone tropicale che in pochi minuti allaga il paesaggio: fra tutti, questo è decisamente il momento migliore per vivere una vera pioggia tropicale e ci sembra quasi un dono, una cosa estremamente positiva.

DAY8: VERSO SUD

La mattina seguente una sorpresa: ho la dissenteria: il Lassi ha fatto proprio ciò che il nome suggeriva. Me la cavo dedicandomi al bagno dalle 4:30 alle 9:00 circa, poi sto abbastanza bene da fare un piccolo trekking verso il Little Adam’s Peak, ad un’ora di cammino. Si tratta di una vetta molto facile ma molto panoramica che si vede dalla nostra camera. Ci accompagna una cagnolina che Nicola battezza Moira (chissà perché?) e non ci lascia fino a buona parte del ritorno quando, rassegnata alla nostra mancanza di viveri, si aggrega ad una coppia nella direzione opposta. Fatti i bagagli, prendiamo l’autobus verso sud e durante il tragitto ecco la seconda sorpresa: anche Nicola ha la dissenteria, con la differenza che mancano quasi due ore all’arrivo e non c’è modo di andare in bagno. Ha la faccia grigia sfumata di verde e giallo ed un’espressione da cadavere, ma nonostante la mia insistenza decide di non scendere alle fermate intermedie. Quando finalmente arriviamo al nuovo alloggio, lo vedo sparire per quasi mezz’ora. Ci troviamo a Debarawera, piccolo centro in posizione strategica per il safari che ci aspetta domani. Il nostro ospite è un buffo ragazzotto dai modi pittoreschi che enfatizza con espressioni facciali degne di Paolo Poli ogni frase, a stento rimango serio. E’ gentilissimo e la struttura nuova e pulita. Per cena, appreso il nostro stato, ci prepara un riso bianco con verdure bollite, sale olio e pepe: quello che ci vuole per sistemare l’organismo. Prima di cena, però, ci facciamo una passeggiata al mercato dove trascorriamo un’oretta incantati dalla meraviglia dei prodotti locali.

DAY9: SAFARI

Il nostro ospite si rivela ancor più eccezionale stamattina: abbiamo l’appuntamento con la jeep per il safari nel Parco Nazionale di Yala alle 5:00, e lui per quell’ora ci ha già servito la colazione e preparato il pranzo al sacco sia per noi che per guida ed autista. Partiamo che è ancora buio e quando raggiungiamo l’ingresso del parco un bel gruppo di altre jeep è in attesa dell’apertura: scendiamo tutti per osservare il primo coccodrillo ed il primo elefante dopodiché entriamo nell’area protetta in una lunga fila di mezzi. Inizialmente avanziamo a singhiozzo, perché gli animali da vedere e fotografare sono innumerevoli, soprattutto gli uccelli. Avvistiamo subito anche manguste, bufali d’acqua, gruccioni, varani e cerbiatti, una quantità impressionante di pavoni. Di elefanti però, non v’è traccia, tantomeno di leopardi. Per tutta la mattina proseguiamo seguendo piste di terra battuta in una emozionante ricerca visiva fra la vegetazione. Ci impantaniamo nel fango un paio di volte e poi la nostra guida ci accompagna in un lodge nel parco dove ci viene offerto un tè. Per il pranzo invece ci sistemiamo lungo un corso d’acqua meraviglioso: nel cestino troviamo tagliolini saltati con verdure, banane, cocomero ed ananas. Il pomeriggio scorre velocissimo e solo verso la fine riusciamo ad incontrare due elefanti. Ci facciamo accompagnare direttamente alla fermata del bus per Matara. L’autobus è piuttosto scomodo ed è impossibile sedersi vicini per noi occidentali: i sedili sono quelli che noi usiamo per i bambini. Arriviamo a Matara in circa due ore e mezza e cambiamo bus. L’autista sembra conoscere il nostro albergo a Mirissa e promette di fermarsi davanti all’ingresso. Quando scendiamo dal bus inizia lo sgomento: non solo siamo fuori dal paese, ma il Sun Ray Resort non è altro che l’abitazione di una famiglia che affitta due camere in casa propria e nulla corrisponde a quanto descritto alla prenotazione. Ci prende lo sconforto ma, pensando una cosa alla volta, ci facciamo accompagnare in paese, a piedi e con la torcia su una strada buia e pericolosa, dal figlio della proprietaria. Torniamo in camera e scopriamo che i letti sono di gomma, vi si affonda dentro senza possibilità di muoversi ed il caldo è opprimente, quasi da non respirare. Fuori non c’è la spiaggia privata ed il giardino descritti sul sito ma il retro di altre case che, una volta attraversati, conducono ad un mare privo di spiaggia che si infrange contro la vegetazione. E’ deciso, domattina si cambia.

DAY10: MIRISSA

Ci svegliamo appiccicosi e ancora più stanchi, facciamo una colazione veloce, neppure troppo buona, ed in pochissimo tempo individuiamo un albergo favoloso in paese, ad un prezzo quasi ridicolo con aria condizionata e camera enorme con balcone, proprio davanti alla spiaggia e con lettini propri per i clienti. Prepariamo un discorso di commiato per il Sun Ray, costretti a fingere un’improvvisa partenza causa mancanza di treni per Colombo, e accantoniamo definitivamente la brutta esperienza in quella struttura. Da oggi, il relax sarà protagonista ma prima, resta un’ultima grande avventura: l’avvistamento balene. Prenotiamo per l’indomani e torniamo a goderci il mare dove posso finalmente utilizzare il guscio subacqueo per il mio smartphone e sbizzarrirmi con foto e riprese di pesci straordinari.

DAY11: WHALE WATCHING

Siamo stati davvero previdenti in questo viaggio: abbiamo anche l’occorrente per il mal di mare e prima di imbarcare ci ripassiamo tutti i consigli per evitare di star male. Mi salvo soltanto io, però. Occorrono due ore per raggiungere la zona di avvistamento cetacei, e le passo osservando due pesci volanti e diverse persone che vomitano dai due lati della piccola imbarcazione, incluso Nicola. Non una volta, ma quattro volte, ricominciando dalla nausea al vomito ogni volta come fosse la prima. Ammetto di aver fatto uno sforzo immane per non stare male a mia volta, obbligandomi a fissare l’orizzonte senza mai guardare dentro al balcone, ma ci sono riuscito. Quando finalmente abbiamo avvistato una Balenottera Azzurra e due Balene Grigie, l’emozione è stata purtroppo rovinata per quasi tutti dalle condizioni fisiche. Questa escursione è un’esperienza un po’ controversa: certo è l’unico modo per vedere queste creature e senza dubbio un bellissimo metodo per divulgare ed insegnare il rispetto e l’amore per certi animali, tuttavia si tratta di una pratica piuttosto invasiva. Le imbarcazioni in mare, di vari operatori, erano almeno una ventina. Ogni volta che una di queste barche sembrava in vista di qualcosa, tutte le altre si stringevano a ridosso della povera bestia che, disorientata, pareva voler solo individuare una via di fuga. Sono combattuto tra la meravigliosa emozione di osservare senza toccare e la sensazione di disturbo.

DAY12: OCEANO INDIANO

Oggi, ho vissuto il mare. Il mare che ogni volta mi rimette al mondo, cura ogni cicatrice fisica e mentale, calma la mia agitazione e la mia ansia e mi rinnova completamente dal profondo. Sono un amante della montagna, del trekking, dell’archeologia e della vegetazione, ma non posso non ammettere il beneficio assoluto che il mare ha su di me. Questo primo assaggio dell’anno mi fa pensare che nella prossima estate dovrei forse dedicare un po’ più tempo alle immersioni ed al nuoto. Non penso proprio a niente, oggi, se non a godere di questa spiaggia bellissima, del cibo straordinario, della musica dei piccoli chioschi e di una rapida visita all’ospedale delle tartarughe.

DAY 13: GALLE

Lasciata Mirissa e sulla via di Colombo, dove il volo ci attende in piena notte, programmiamo la visita di Galle, un forte Olandese circondato dal mare, altro sito Unesco. Lasciati gli zaini al deposito della stazione, attraversiamo la porta delle mura di fortificazione ed improvvisamente ci troviamo… in olanda! Non fosse per le piante tropicali e per il caldo sembrerebbe veramente un borgo olandese: tutto è maniacalmente lindo e curato, i fiori la fanno da padroni. I negozi sono fantastici e non si vendono le solite chincaglierie da turista ma tantissimi oggetti originali ed artigianali creati da stilisti ed artisti del luogo. Galle balza direttamente fra le città più belle che io abbia mai visitato. La giornata è stupenda, siamo appagati da tutto quanto vissuto fin qui, siamo riposati e rigenerati e torniamo pieni di soddisfazione per questo viaggio che è stato più bello di quanto si potesse riuscire ad immaginare.

Srī Lanka, Trekking, Viaggi

Trekking a Sigiriya

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La scalata dell’enorme roccia del leone, residuo di un antichissimo cono vulcanico, è un’esperienza unica, impossibile altrove. La biglietteria del sito, patrimonio dell’umanità UNESCO, apre alle 7:00, e se come noi avrete la fortuna di essere i primi ad accedere, potrete godere a pieno di ogni momento nella pace totale. Si attraversano i resti degli immensi giardini reali dove a parte qualche inserviente intento a spazzare le foglie, solo le scimmie e qualche uccello ci fanno compagnia. Qualche breve rampa di scale ci avvicina al monolite, dove inizia la vera scalinata. È indispensabile munirsi di acqua in abbondanza e protezione solare, già alle 8:00 il caldo è impietoso. Un camminamento prima scavato sul fianco della roccia e poi sospeso nel vuoto, conduce sul lato nord dove si trovano due zampe di leone giganti che abbracciano una nuova scalinata. Arriviamo sulla sommità per primi e dopo una quantità indefinibile di foto, scegliamo un punto panoramico nascosto e ci sediamo su uno dei muri dell’immenso palazzo che si ergeva quassù, ospitando prima una reggia e poi un monastero. Nel giro di mezz’ora tutta la zona brulica di gente e la via del ritorno è una processione infinita di turisti da ogni parte del mondo che, nel caldo ormai insopportabile, si avventura in fila nella direzione opposta alla nostra e che, ne sono certo, avrà sicuramente un’impressione differente da quella di assoluta beatitudine che abbiamo vissuto noi. Discesa la roccia, ci godiamo le rovine sparse nel giardino sottostante, all’ombra di alberi giganti, anche qui del tutto indisturbati.

Fotografia, Toscana, Web

Prato in Uno Scatto

Il gruppo Instagramers Prato premia settimanalmente gli scatti più belli dalla nostra città. Incuriosito, ho subito postato una foto che avevo fatto durante le feste di Natale dal Cavalciotto di Santa Lucia, ed ho vinto. Ecco l’articolo pubblicato da Pratosfera con tanto di intervista: Prato in Uno Scatto

igersprato

Cani, Toscana, Trekking

La paura rende feroci

cani_pastore_maremmano_abruzzeseUna passeggiata programmata da settimane: io, Lorenzo ed Hela ci dirigiamo nel Chianti, per seguire un itinerario ad anello che parte ed arriva a Badia a Coltibuono. La temperatura è gradevole, il sottobosco umido e pieno di funghi, camminiamo in mezzo ai castagni incontrando solo qualche cacciatore e prestando attenzione ai cartelli che indicavano via via l’ingresso o l’uscita da aree di caccia, tengo Hela al guinzaglio per il timore che venga scambiata per una volpe. In realtà il tracciato non ha segnali, spesso sbagliamo strada e solo grazie al GPS riusciamo a seguire più o meno l’itinerario previsto. Ho con me l’antidoto contro i morsi di vipera, il trattamento per lo shock anafilattico, cibo, bevande e snack. Credo di aver pensato a tutto, ma non è così. Lasciato il bosco, nei pressi del Castello di Albola, decido di liberare Hela per un buon tratto, finché al suono di alcuni spari, Lorenzo non mi suggerisce di  legarla nuovamente. Questa è stata la sua salvezza. Un attimo dopo, due Pastori Maremmani si sono avvicinati velocemente e si sono avventati su Hela, afferrandola fra le fauci con l’intenzione di sbranarla. Nonostante la sorpresa e nonostante l’amore che ho per qualsiasi cane, ho recuperato il guinzaglio cercando di liberare la cagnolina urlante ed ho cominciato a sferrare una serie di calci alle teste dei due perfidi animali. Si è trattato di attimi, ma a mente fredda ricordo benissimo di aver sprigionato un’adrenalina ed una forza tale che avrei potuto uccidere quei cani a calci. Nel frattempo, Lorenzo riesce a farli desistere grazie ai bastoni da trekking, sollevo Hela per prenderla in braccio ma le sue urla non promettono niente di buono. E’ ferita, e chissà che altri danni ha riportato da quella presa tremenda! Non ho il coraggio di rimetterla giù, penso che potrebbe avere qualche frattura, o addirittura aver perso l’uso degli arti posteriori visto che tutta la zona posteriore era stata morsa. Invece, poco dopo, nonostante le sue continue urla, scopro con sollievo che si tratta soltanto di fori da denti, qualche abrasione ed un grande ematoma, ma Hela cammina ed è soprattutto spaventata. Un’esperienza incredibile, assurda e mortificante. I padroni, di nazionalità Inglese, sono venuti in nostro soccorso, mortificati, ed hanno medicato la cagnolina, nonostante questo però, hanno continuato a lasciare i cani liberi e sulla via del ritorno ci hanno seguiti per un buon pezzo di strada. Potrei fare una denuncia, chiedere anche un risarcimento, ma non ne ho voglia. Voglio solo dimenticare e benedire il guinzaglio senza il quale sicuramente non sarei riuscito a recuperare Hela dalle bocche dei Pastori maremmani.