Epifania, primo giorno di saldi. Mai fatto prima, quest’anno approfitto e faccio la pecora, giusto per cercare un paio di calzini, di guanti e di pantaloni di felpa in centro a Firenze. La città al mattino è molto più apprezzabile di come sono abituato a vederla solitamente, l’aria è stranamente respirabile ed i negozi ancora semideserti. Ma c’è qualcosa che, ovunque vada, come una persecuzione, si ripresenta puntuale in ogni bar di cui ho memoria: il problema della tazzina di caffè. Credo che a questo punto esista proprio una scuola per cafoni, un master in mancanza di rispetto, una specializzazione in cafonerìa che contraddistingue gli addetti al caffè. Io mi domando: ma se la tazzina è stata dotata di un meraviglioso manico dal quale afferrarla, che ti impedisce di ustionarti le dita ed è anche molto pratico perchè dona un equilibrio maggiore nel tragitto dalla macchina del caffè al bancone, perchè cavolo di un cavolaccio lurido tutti i baristi afferrano la tazzina a cinque dita da sopra coi polpastrelli proprio dove io dovrei mettere la bocca? Le stesse mani con cui toccano la spugna del bancone un attimo prima, il cassetto coi fondi di caffè e soprattutto le banconote! Ieri poi, l’apice: una ragazzina avviluppata nelle sue firme con tanto di impeccabile trucco e parrucco, per molti sinonimo di elevazione sociale, è stata così professionale da pulirsi il naso prima di darmi il resto sfiorandomi poi teneramente col suo umido tocco moccicoso il palmo della mano. Come resistere alla tentazione di esclamare un candido vaffa?
Tag: caffè
La morte del caffè
Il caffè sta morendo. E’ una lenta e inesorabile agonia diffusa in tutto lo Stivale, una condanna per l’amato espresso in nome dei capricci della moda e della mania di protagonismo. Un tempo gli italiani si vantavano del proprio caffè giudicando impossibile trovarne uno ben fatto all’estero, eppure quelle stesse persone sono entrate nella spirale della spesso ingiustificata e ridicola passione per la storpiatura. Fino agli anni novanta, caffè e cappuccino la facevano da padroni e chiunque richiedesse un ristretto o un corretto veniva guardato di traverso. Adesso invece, pur di farsi riconoscere, si fanno richieste di ogni tipo, talvolta ai limiti dell’intelligenza. Tazza grande o piccola, tiepido o caldo, in vetro ma con manico… Un paio di queste addirittura comiche: proprio stamattina ho assistito alla richiesta di un “Cappuccino senza schiuma”! Mappòrc… ma non è forse un Caffellatte quello? E che cos’è un “Macchiatone” se non un… Cappuccino? Un’altro molto buffo è il “Caffè al Ginseng”, praticamente inutile in quanto le proprietà del ginseng spariscono alle alte temperature e quel sovrapprezzo in nome della tendenza non ha alcun senso. Conosco un tizio che ogni volta che capta una parola nuova, mancando completamente di personalità, la memorizza (o forse la segna in agenda, non so) e la volta seguente lo senti sbraitare “Un Mokaccino con schiuma tiepida in tazza grande di vetro ma con manico in acciaio!”. Facessi il barista mi rifiuterei di assecondare queste assurdità ed imporrei il mantenimento della tradizione. Altrimenti, c’è sempre Starbucks con i suoi brodi marroncini da mezzo litro che non pretendono di somigliare a niente di italiano.