Il cavallo è un animale che mi inquieta. Da sempre, faccio fatica a sostenerne lo sguardo e provo un senso di disagio davanti a quegli enormi occhi che ho sempre associato a tristezza, quasi sofferenza. Il volto del cavallo non ha lineamenti mobili e forse è proprio questo che inganna e trasmette un’espressione costante che la nostra innata tendenza ad umanizzare associa alla tristezza. Le pagine di storia uscirebbero sconvolte da un mondo senza cavalli: niente impero di Gengis Khan, conquista del West o Campagna di Russia. Comunque ci si schieri, al cavallo dobbiamo una riconoscenza assoluta ed incondizionata per averci permesso di diventare quello che siamo oggi, per aver rimpicciolito il mondo e ridotto la fatica. Steven Spielberg si inchina alla grandezza del cavallo con il film War Horse, nelle sale in questi giorni. Questa è la storia di un cavallo e della sua capacità di sopravvivere alla stupidaggine umana, un animale col potere di affascinare chiunque incontri nel suo viaggio forzato attraverso l’Europa del primo conflitto mondiale. Due ore di emozione che portano il cuore dello spettatore al galoppo, impossibile non commuoversi. Anche in questo caso, se ne avete la possibilità evitate di guardare il trailer, regalatevi la sorpresa di un film del quale non sapete nulla.
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Terza Guerra Mondiale.
Direttamente coinvolti, ad oggi, Usa, Gran Bretagna, Norvegia, Belgio, Francia, Italia, Qatar, Emirati Arabi. E siamo a quattro continenti. L’India e la Cina si esprimono in merito, il Venezuela già coinvolto per rapporti con Gheddafi. Non è forse questa, la terza guerra mondiale? Come la seconda inoltre, tutto originato dalle follie di un singolo individuo, il quale sarebbe stato libero di uccidere il proprio popolo a suo piacimento, non fosse stato per il petrolio. Perchè senza interesse economico si sa, gli Usa non si muovono. E quando si muovono gli Usa, il cagnolino Italia corre ansimando dietro al padrone.
Allarme Korea
Poco tempo fa ho visto un documentario sul canale Current di Sky, un filmato amatoriale girato da due ragazzi americani che, con molte difficoltà, sono riusciti ad entrare in Nord Korea come turisti. Mi ricordo le immagini di Pyongyang chiaramente: enormi strade vuote, coprifuoco notturno, assenza di traffico e mezzi privati, il divieto di conversare per strada, l’inno nazionale suonato al megafono per la città due volte al giorno. Edifici austeri ed immacolati figli del socialismo sovietico, assenza di manifesti, sporcizia, pubblicità, colori. Ho visto anche un reportage più recente: un chirurgo oculare si reca in Nord Korea per operare duecento pazienti con la cataratta caduta, molti completamente ciechi per questa patologia così banale da noi. Ebbene, il desiderio di ciascuno di questi era tornare a vedere per poter vedere il volto del loro leader, Kim Jong-il. Il chirurgo è riuscito ad operarli tutti ma i pazienti sono rimasti bendati fino al giorno del ringraziamento, una cerimonia incredibile con la quale ciascuno ha tolto le bende in contemporanea dentro ad un salone ed è poi corso, finalmente vedente, a ringraziare l’ “amato leader”, prostrandosi davanti alla gigantografia, baciandola, adorandola. Paura, dittatura, ingnoranza, religiosità e soggezione sono tutte fuse insieme in Nord Corea, mentre la sorella meridionale avanza a grandi passi verso l’avanguardia tecnologica e sociale contendendosi il primato col Giappone. Stamattina, ancora, la Korea del Nord ha eseguito un esperimento missilistico, colpendo volontariamente un’isola appartenente alla Korea del Sud. La situazione è allarmante, gli americani, probabile causa della corsa alle armi nordcoreana, insistono nel dire che questa nazione possiede l’ordigno atomico. Se così fosse, si prospetta un futuro terribile, che potrebbe ripercuotersi su salute ed economia mondiali. Sono spaventato.