Il caffè sta morendo. E’ una lenta e inesorabile agonia diffusa in tutto lo Stivale, una condanna per l’amato espresso in nome dei capricci della moda e della mania di protagonismo. Un tempo gli italiani si vantavano del proprio caffè giudicando impossibile trovarne uno ben fatto all’estero, eppure quelle stesse persone sono entrate nella spirale della spesso ingiustificata e ridicola passione per la storpiatura. Fino agli anni novanta, caffè e cappuccino la facevano da padroni e chiunque richiedesse un ristretto o un corretto veniva guardato di traverso. Adesso invece, pur di farsi riconoscere, si fanno richieste di ogni tipo, talvolta ai limiti dell’intelligenza. Tazza grande o piccola, tiepido o caldo, in vetro ma con manico… Un paio di queste addirittura comiche: proprio stamattina ho assistito alla richiesta di un “Cappuccino senza schiuma”! Mappòrc… ma non è forse un Caffellatte quello? E che cos’è un “Macchiatone” se non un… Cappuccino? Un’altro molto buffo è il “Caffè al Ginseng”, praticamente inutile in quanto le proprietà del ginseng spariscono alle alte temperature e quel sovrapprezzo in nome della tendenza non ha alcun senso. Conosco un tizio che ogni volta che capta una parola nuova, mancando completamente di personalità, la memorizza (o forse la segna in agenda, non so) e la volta seguente lo senti sbraitare “Un Mokaccino con schiuma tiepida in tazza grande di vetro ma con manico in acciaio!”. Facessi il barista mi rifiuterei di assecondare queste assurdità ed imporrei il mantenimento della tradizione. Altrimenti, c’è sempre Starbucks con i suoi brodi marroncini da mezzo litro che non pretendono di somigliare a niente di italiano.