Cinema

Lo chiamavano Jeeg Robot

img_0369I supereroi? Naaaa, non fanno per me. Non sono un grande amante delle trasposizioni cinematografiche dei più noti eroi salva-gente dei fumetti figuriamoci di quelli noti solo ai più attenti lettori Marvel & Co. Invece, questo supereroe, questo Jeeg impostore e improvvisato in una Roma dilaniata dallo spaccio e dalla corruzione, supera qualsiasi documentario, qualsiasi cine-mazzata, qualsiasi saggio o epopea sul tema Bene-Male/Gusto-Sbagliato mai trasmessi finora. Non credo esistano pellicole del genere realizzate in italia ad oggi. Non ha confronto.

Regia e colori pazzeschi, Santamaria prefetto per il ruolo, Ienia Pastorelli meravigliosa rivelazione, musiche e scenografie da cinema esportabile ovunque. Trama e soggetto godibili e narrazione fluida, grande carico di figure retoriche e di morale. Pausa.

Pausa.

Ecco, ora parliamo di Luca Marinelli, che interpreta il cattivo Zingaro. No vabbé, qualcosa di spettacolare. Mettetegli in mano Leone,  Orso, Palma, David e Oscar subito.  È sconvolgente. Sconvolgente!

Correte al cinema ora, subito!

Cinema

I dieci film che non smetto di (ri)vedere

  1. Il Colore Viola: non c’è niente da fare, questo film mi appassiona ( e ossessiona) da sempre. Potrei guardarlo ogni giorno, e ogni giorno venire travolto e sconvolto, rapito e appassionato, finendo nel solito inevitabile bagno di lacrime guardando Mister che, sullo sfondo di Celie e Nettie che giocano da vecchie, sorride e si pente della sua cattiveria.

  2. Il Favoloso Mondo di Amélie: il surreale altruismo della protagonista, circondata da bizzarri personaggi prigionieri delle rispettive solitudini, filtrati in rosso-verde e la sceneggiatura favolesca e gonfia di sentimento senza essere sentimentale né sconfinare nello stucchevole, sono come un magnete.

  3. Edward Mani di Forbice: il tema della diversità raccontato nel modo più buffo, insolito, drammatico e straordinario. Lo stomaco che sobbalza e si stringe nel crescendo di ingiustizie senza colpa né colpevole e gli occhi che si riempiono della neve che cade sul finale.

  4. La Città Incantata: sullo sfondo sottile del tema ecologico, rivelato soltanto sul finale e comprensibile solo allo spettatore attento, si srotolano tutti i valori più cari alla cultura Giapponese, dall’amore per la famiglia al coraggio, dall’umiltà all’amiciza, dall’autostima al rispetto, passando per la conoscenza dei propri démoni. Credo sia il solo film nel quale nessuno è veramente buono o veramente cattivo, né giusto né sbagliato. Ognuno è sé, nient’altro.

  5. Mine Vaganti: continuo a riguardarlo soprattutto per le sonore risate che mi regala, ma anche per l’affascinante mondo delle menti ignoranti, dell’arroganza fasulla e del cervello collettivo. Quando, cioè, a costo di giocarsi il pensiero, alcune persone preferiscono fondere le proprie idee con quella della gente, in un moralismo di facciata che, come qui appare chiaro, a malapena copre i propri peccati.

  6. Pomodori Verdi Fritti: il trionfo dell’amore e dell’amicizia oltre l’aspetto, l’età e il contesto. Soprattutto, una Jessica Tandy da innamoramento e Kathy Bates superlativa.

  7. Il Signore Degli Anelli: pensare che non amo combattimenti, armature e spade. Nonostante ciò, questa epopea che avvicina lo spettatore ai protagonisti così tanto e così bene catapultandolo in un mondo tanto meraviglioso quanto spaventoso, riesce sempre a trasportarmi completamente nella storia ed il finale, gcosì sofferto e così faticato, è gonfio come pochi della forza dell’amicizia, nella scena dell’addio fra Frodo e Sam, che ogni volta mi fa scoppiare il cuore.

  8. La Vita è Bella: e qua, non servono troppe parole per motivare la visione ripetuta, anche se cento visioni non sarebbero sufficienti a spiegare il genio assoluto di Roberto nell’affrontare l’argomento più orrendo della storia in chiave comica.

  9. Big Fish: le storie di una vita incredibile: struggente e visionaria storia che racconta il momento in cui da figli ribelli e sfuggenti diventiamo adulti e riusciamo ad osservare i propri genitori con occhi diversi, perdonando e cancellando vecchi rancori e preparandoci alla successiva inversione dei ruoli.

  10. Lo Specchio della Vita: un film fuori dal suo tempo, gli anni sessanta, che oggi più che mai andrebbe riguardato per ammirare la capacità del regista, per nulla scontata allora, di trattare il tema della vergogna, del razzismo e della famiglia diversa.

E voi, invece?

Cinema

La Grande Bellezza

Toni Servillo è Jep Gambardella
Toni Servillo è Jep Gambardella

Sono profondamente soddisfatto all’uscita dalla sala dopo la visione di questo lavoro di Paolo Sorrentino, in concorso al Festival di Cannes 2013,  non fosse per i soliti cafoni da multisala che non hanno potuto trattenersi dal sottotitolare ogni scena con commenti da salotto: Jep Gambardella, protagonista del film interpretato da un maestoso Toni Servillo, ne avrebbe descritto la maleducazione inquadrandoli in una traboccante descrizione meringata da colti aggettivi dal sapore vintage. E’ uno strano soggetto Jep, solitario intellettuale dallo spiccato cinismo, quasi si bea nell’altrui decadenza usandola come trampolino al proprio narcisismo che lui, arrogantemente, chiama sensibilità. Una sfilata di soggetti “difettosi”, personaggi quasi circensi simbolo di una fetta di società malata e reale verso i quali si prova compassione quasi dimenticando che, incontrandone nella vita reale, il giudizio sarebbe tutt’altro che lieve. Carlo Verdone nei panni di un fastidioso fallito che arranca al seguito di una gallina tremendamente brutta, dentro e fuori; Sabrina Ferilli, stavolta eccezionalmente brava, in quelli di una donna vittima della rozzezza del padre pervertito e di un ambiente burino del quale è ormai una componente fondamentale; Isabella Ferrari impersona una deprimente nullità il cui unico accessorio è la ricchezza materiale, completamente inutile perché accompagnata ad una totale vuotezza. Galatea Ranzi è una saccente scrittrice contro la quale Jep rovescia una scarica di verità verbali così violenta da demolirla e, infine, due parole in più sono da spendere per una stupefacente Serena Grandi che, seppure con un nome di scena, interpreta nient’altri che sé stessa risultando il fulcro riassuntivo dell’intera pellicola: una donna sfasciata al limite dell’umano che rifugge il proprio relitto circondandosi di marionette griffate. La vera bellezza di questo film, non grande ma immensa, è la fotografia. Ogni inquadratura è un arazzo, ogni fotogramma un dipinto, ogni frame un poster. La storia affascina da subito proprio grazie alla luminosità delle immagini, ai colori, al meraviglioso documentario di una Roma che sembra perfetta e che via via va incrinandosi al crescere della percezione dell’amarezza della trama. Sconvolge anche la presenza completamente  sgretolata della religiosità:  giovani suore mai così umane e peccatrici,  reverendi viziosi e stupidi, idoli e santità ridicoli e imbarazzanti. Mi resta una gran voglia di rivederlo ed annotare le tante frasi forti e impattanti che costellano un testo, a parer mio, bellissimo.