Dialoghi di Casa Manilo

Silvia

(mentre leggi, ascolta “I’ll be around – Empire of the Sun”)

Agosto 2019, appartamento sotto

Siamo tutti in veranda mentre arriva Silvia, la nostra veterinaria. Entra con l’auto nel cancello e parcheggia davanti a noi. Trattengo Hela, la nostra pinscher, mentre il buon vecchio Birillo, con la flemma che lo contraddistingue, si avvia lentamente fuori casa e, scesi i due scalini con estrema cautela, procede verso Silvia, scodinzolando.

«No! Ma guardate com’è, ha una fibra questo cane… incredibile» dice Silvia, accarezzando Birillo sulla schiena. Sembra quasi avere un ripensamento, quindi le chiedo di illustrare a noi tutti il quadro della situazione da capo, in modo che possiamo ascoltarlo nuovamente e ritrovare la determinazione che, fino ad un attimo prima, pensavamo di avere.

«Quando il cane è arrivato da me, l’altro giorno, ho pensato ad un tumore, una metastasi, qualcosa del genere insomma» spiega «ma una volta apertagli la bocca, per capire l’origine del gonfiore spaventoso, ho capito che si trattava di un’infezione da piorrea in fase molto avanzata, che probabilmente gli è arrivata anche alla testa e che, quasi certamente, è responsabile dell’attacco epilettico avuto la settimana prima. Non fosse un cane di quasi vent’anni, una soluzione poteva essere l’asportazione di tutti i denti, la ricostruzione della gengiva e tanta, tanta pazienza e farmaci. Come vi ho già detto però, sottoporlo a tutto ciò per sperare in un prolungamento della vita di appena qualche mese, oltretutto con una mutilazione, non è consigliabile”.

Non ancora soddisfatto, spero che ripeta quanto mi ha già detto allo studio, due giorni prima, per assicurami di aver capito bene, e infatti… «Gli antibiotici che sta facendo sono fortissimi, è sgonfiato ed apparentemente a voi sembra stare bene, ma ha comunque dolore, un dolore che con ogni probabilità continuerà a crescere, potrebbe portare a nuovi attacchi epilettici, febbre, o addirittura alla frattura della mascella. Penso che abbiate preso la decisione giusta: regalargli un fine vita dignitoso qui, a casa sua, circondato dalla sua famiglia, ad un’età molto avanzata e raggiunta in piena forma, non è altro che un gesto d’amore»

[…]

Prima che Silvia se ne vada, le faccio fare un giro della casa, andiamo sopra e le mostro l’appartamento che affittiamo ai turisti. Si sofferma a guardare tutte le foto dei miei genitori appese, scelte appositamente fra le più buffe, e poi ci spostiamo in terrazza. «Sono venuta soprattutto per gratitudine verso la tua mamma, oggi, e se non sbaglio è anche l’anniversario della sua morte?”, ricorda Silvia correttamente. “Immagino come tu possa stare. La tua mamma mi ha sempre sostenuta, aiutata e consigliata, fu la mia prima cliente quando ho aperto lo studio, trent’anni fa ormai. Adesso che sono qui a casa sua, tua, ho la conferma di quello che ho sempre sostenuto. Pensala come vuoi, ma sono convinta che ci sia una particolare energia in questo posto. Un’energia che vi ha sempre mantenuti felici, che ha permesso alla tua mamma di affrontare una lunga malattia senza sintomi o dolore, che ha portato Birillo, quindicenne e claudicante, a ritrovare una seconda giovinezza e vivere ancora quattro anni in piena forma. Ti voglio ringraziare per avermi permesso di fare questa cosa in questo modo e in questo posto, non pare, ma anche se pratico decine di eutanasie, questa è stata molto particolare anche per me»

(alcuni giorni dopo)

Non appena l’auto di Silvia ha lasciato il cancello, ho ripassato mentalmente quanto appena ascoltato, ma in modo molto distaccato e rapido, solo per memorizzare, non avendo la testa abbastanza libera, in quel momento. Quindi, sono entrato in casa, e solo oggi torno a pensarci, mentre scrivo questo testo.

Sicuramente Silvia ha sempre avuto una forte ammirazione per mia madre, non mi riesce affatto difficile crederlo, e con molta probabilità mia madre, a sua volta, ha avuto un gran carattere ed una spiccata personalità, tali da mantenersi forte, positiva e sorridente durante la sua malattia. Effettivamente poi, Birillo non si trovava nel pieno della forma quando ha traslocato in questa casa, ed ha avuto un cambiamento evidente ed inequivocabile fin da subito. Abbiamo decine di filmati e foto che lo ritraggono mentre galoppa, con le orecchie che sventolano per aria e la lingua da un lato, con quelle sue gambe mezze storte che, a due a due appaiate, avanti e indietro, lo sospingono con forza fino a buffe derapate in curva o goffe inchiodate. Il potere della campagna, dicevamo noi, o una nuova felicità. Non so se Silvia si riferisse a questo, sono molto più solito soffermarmi sui problemi, sulle difficoltà o le preoccupazioni. Le cose belle, più frequentemente, sono gli altri a portarle alla mia attenzione, e solo allora le vedo davvero. Probabilmente capita un po’ a tutti, e non perché la si sottovaluti, ma perché spaventa un po’ constatare la felicità, per timore di intaccarla. Quindi, se lei  parlasse di fortuna, di caso, di positività, di forza, o di tutte queste cose insieme, io non lo so. So per certo che rientrando in casa l’altra sera, con Birillo addormentato per sempre, nel suo materassino, ho decisamente sentito serenità, pochissima tristezza. E che esattamente un anno prima, in uno scenario pressoché identico, ho provato la stessa serenità, e, anche allora, pochissima tristezza. Per un anno intero, ho pensato di essermi inaridito al punto da non saper provare abbastanza tristezza, da non riuscire a piangere a sufficienza. Adesso però, ripensandoci, la completa serenità con cui ho potuto accompagnare sia mia madre che Birillo, e la certezza di aver dato tutto, ricevendo ancor più di tutto, devono aver reso inutili sia pianto che tristezza. Sì, credo di aver capito. Dev’essere proprio questo, questo senso di pace, anche nel dolore, che Silvia chiama energia.

Birillo

 

Cronaca, Mondo

Festival delle Luci, Prato

Come noto, la Comunità cinese di Prato è fra le più popolose in Europa. A partire dagli anni ottanta infatti, un numero sempre maggiore di cittadini cinesi è giunto a Prato in cerca di fortuna nel tessile, attività appresa in parte grazie ai pratesi stessi che, nel boom economico, trovarono nella Cina il cliente ideale per vendere i macchinari usati ed ammodernare le proprie industrie. Soltanto attorno alla fine degli anni novanta ci si è accorti della enorme separazione tra la Comunità cinese ed i cittadini pratesi, ma la preoccupazione è arrivata solo nei primi anni duemila, quando la crisi economica ed il basso costo dei prodotti delle fabbriche cinesi,  comunque Made in Prato, hanno provocato la chiusura di centinaia di attività storiche locali. Oggi, che si cominciano ad intravedere timidi segni di ripresa e che si è finalmente riconosciuta una responsabilità del disastro economico anche negli industriali pratesi e nella negligenza degli organi di controllo locali, ci si rimboccano le maniche e si comincia a lavorare per una maggiore integrazione fra le due comunità. I cittadini di origine cinese, moltissimi dei quali ormai nati qui, hanno a loro volta cominciato a comprendere ed applicare le normative locali, si avverte una volontà di miglioramento e redenzione, di imparare dalle tragedie causate dallo sfruttamento della manodopera. Allo stesso tempo, molti giovani pratesi si sono attivati per la creazione di associazioni, attività ed imprese volte a promuovere una conoscenza e collaborazione perché è sempre più evidente come questa particolare realtà sociale sia una risorsa preziosa sulla quale fondare la ripresa della città. Da molti anni si è festeggia il Capodanno Cinese a Prato, ma si è trattato finora di un evento marginale, poco noto e poco partecipato. Quest’anno, invece, si è voluto celebrare in contemporanea con il Festival delle Luci, o delle Lanterne, un evento tradizionale cinese che in origine celebrava l’arrivo delle giovani ragazze in età da marito che si riunivano sotto la luce delle lanterne di carta per incontrare i futuri sposi. La manifestazione è stata un vero successo, grazie all’impegno degli enti locali e dell’associazione pratese Chi-na, nata lo scorso anno e promotrice principale. Buona parte di Via Pistoiese e di alcune vie limitrofe è stata pedonalizzata per permettere sfilate, mercatini di strada e l’esposizione di meravigliose lanterne cinesi a forma di panda, di personaggi della tradizione, di teiere, di maschere e gru, il tutto sotto una volta di lanterne rosse tradizionali. Tra le bancarelle ed i negozi aperti, una folla festosa di cittadini pratesi e cinesi si è mischiata in un clima di festa ed armonia come non si era mai visto prima. Un successo tale che si è già pensato di rendere l’evento un appuntamento fisso.

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Toscana, Trekking

La Via Vandelli, Alpi Apuane

 
Qualche settimana fa, grazie ad un servizio in TV, ho scoperto l’esistenza di questo affascinante percorso escursionistico dalla storia bizzarra e folle. Una strada in pietra a secco costruita nel XVIII secolo dall’Abate Vandelli su commissione del Duca di Parma per collegare la città ducale con Massa, ambito sbocco al mare appena ottenuto dal Granducato. Non potendo attraversare gli Stati confinanti ed avendo come unica opzione un territorio estremamente limitato ed impervio, l’Abate Ingegnere fu costretto ad inventare un sistema di costruzione e misurazione inedito, arrivando a realizzare un’opera imponente e robusta che fu in grado di consentire il transito di carrozze, carri e persino convogli estremamente pesanti trasportanti marmo di cava. 

Raggiunto il piccolo abitato di Resceto, in provincia di Massa ed a soli dieci minuti dal capoluogo, la strada termina in un piccolo parcheggio dove arriviamo intorno alle 9:30. Notiamo subito il cartello del CAI e ci incamminiamo sull’unica strada che lascia il parcheggio, asfaltata ancora per pochi metri prima di diventare bianca.  Solo cinque minuti di cammino, e la stretta valle solcata da un profondo canalone si apre mostrando tutta l’imponenza dei monti che la abbracciano. Davanti a noi  serpeggia bianchissima la Via Vandelli, come una candida Muraglia Cinese, aggrappata a sbalzo su pendici quasi verticali. Gran parte del percorso è su fondo sassoso-ghiaioso rendendo piuttosto faticosa l’ascesa, noi non abbiamo portato i bastoni da trekking ma mi sento di consigliarli, soprattutto per la discesa e la presa instabile degli scarponi sulla ghiaia  e le pietre bianche sconnesse. Superiamo un ponticello in ferro ed attacchiamo i primi dei numerosi tornanti che ci attendono, ritrovandoci presto dentro una fitta nebbia, forse nuvole basse, poi, immediatamente prima di raggiungere il primo traguardo della giornata, fuoriusciamo dal bianchissimo vapore e scopriamo un cielo azzurro e sereno al di sopra di un mare di nebbia e nubi dal quale spuntano solo le cime dei monti circostanti. In poco meno di sei km di cammino abbiamo coperto mille metri di dislivello e raggiunto la Terrazza Vandelli, uno spiazzo verde mozzafiato a cavallo dei due versanti delle Apuane e dal quale si riesce a vedere sia in direzione del mare che in direzione dell’entroterra toscano.  

La Terrazza Vandelli

Si ha quasi la sensazione di fluttuare su di un tappeto volante sopra ad un mare lattiginoso, ma mi dicono che in giornate terse si riesce a vedere dalla Corsica alle Alpi Marittime, dagli Appennini oltre Firenze alle Colline Metallifere.  Proseguiamo alcuni metri nel versante opposto oltre la terrazza e raggiungiamo il Rifugio Nello Conti, 1442 metri di altitudine, purtroppo chiuso. Usufruiamo ugualmente dei tavolini e dell’acqua potabile a disposizione per il pranzo, affacciati a strapiombo sulla bassa Garfagnana. Il rifugio è aperto nei weekend dal 15 Giugno al 15 Settembre. Dopo pranzo, superata ancora una volta la Terrazza, raggiungiamo in 45′ il Passo Tambura, a 1620 metri s.l.m: è qui che la Via Vandelli raggiunge il suo punto di massima elevazione e si dirige a Nord Est in direzione dell’Appennino Parmense. Da qui è inoltre possibile proseguire in direzione della vetta del Tambura per poi discendere dal versante settentrionale e, in un circuito ad anello che richiede in tutto 8/9 ore, ritornare a Resceto, ma la brevità delle giornate di Novembre non ci permette di proseguire oltre e così torniamo sui nostri passi, percorrendo un totale di 15km in circa 4h 30′ al netto delle soste. 

La Via Vandelli
 

E’ un percorso indicativamente adatto a tutti, un po’ di fiato ed una buona resistenza alla salita costante premiano l’escursionista con paesaggi e panorami di struggente bellezza e rara genuinità in un silenzio assoluto e avvolgente. Alcuni punti nel tratto compreso fra la terrazza ed il Passo Tambura richiedono maggiore attenzione a causa del suolo franoso e del selciato spesso molto spesso, a parte questo non ho notato pericolosità particolari. 

Il video della giornata

Alcuni link utili

La Via Vandelli

Cai Massa

 

Rifugio Nello Conti
 

Toscana, Trekking

Baratti (Li)

IMG_0615Estate 2015, tre soli giorni di mare! Non sono riuscito a fare di meglio quest’anno, ma i tre giorni trascorsi a Baratti a inizio Settembre secondo me valgono quindici giorni in Versilia. Amo la Toscana, la mia regione, ma dalla zona in cui vivo (appenino pratese) è molto faticoso ed impegnativo raggiungere un mare che accontenti le mie esigenze di tranquillità, pulizia e relax. Versilia e Riviera Romagnola sono le destinazioni più vicine, ma preferisco fare a meno del mare che partire verso spiagge attrezzate ed affollate bagnate da mari opachi e noiosi. Con appena mezz’ora di guida in più, si arriva in Liguria oppure sotto Livorno, dove il mare comincia ad assomigliare all’idea che ne ho io. Baratti, scoperto solo quest’anno, è un vero paradiso: si tratta di una baia tranquilla e selvaggia con al centro una spiaggia scura e ferrosa, ricca di resti etruschi, e con alle estremità sentieri panoramici che conducono a luoghi più segreti ed incontaminati. Verso nord, dal piccolissimo abitato di Baratti, un sentiero brevissimo e pianeggiante conduce a Cala Pozzino, una piccolissima spiaggia sassosa che custodisce un mare dal fondale ricco e trasparente. All’altro estremo della baia troviamo il porticciolo di Baratti, superato il quale si trovano rispettivamente il Ristorante Canessa e Canessa Camere, dove ho soggiornato. Le quattro camere disponibili sono direttamente sul mare, ciascuna provvista di balcone attrezzato a meno di dieci passi dall’acqua. Alba e tramonto trasformano questa sistemazione già ottima ed economica in qualcosa dal lusso inestimabile. Da qui partono i sentieri per Populonia Alta (40′), Buca delle Fate (1h 10′) e Piombino (3h). Almeno in Toscana, e per il mio gusto, io non ho trovato finora luogo più bello e soddisfacente di questo, mi auguro che l’Ente Parco che ne tutela la conservazione storica e naturalistica, continui ad impedirne la trasformazione e che resti sempre tutto così com’è: un paradiso

Trekking

Da Piazza a Piazza 2015

Lorenzo ed io all'Arrivo a Montepiano (primo giorno)
Lorenzo ed io all’Arrivo a Montepiano (primo giorno)

Anche quest’anno sono sopravvissuto al “Da Piazza a Piazza – una gita nel passato”, camminata annuale che, sul crinale dei monti, circuisce la valle del fiume Bisenzio nel territorio della Provincia di Prato. La passeggiata, di particolare lunghezza (circa 77km secondo il mio GPS), ha avuto origine da una scommessa fra due Pratesi un po’ burloni che vollero dimostrare di poter andare da una piazza all’altra della città senza attraversare il fiume Bisenzio. Sebbene in direzione opposta all’originale, il percorso è lo stesso di allora e si è appena conclusa la trentunesima edizione, la settima per me.

La partenza è alle 7 del mattino dal quartiere Santa Lucia di Prato, dove, indossata la pettorina numerata, si sale subito il colle Malaparte, sulla cui sommità, raggiungibile in una quarantina di minuti, riposa dal 1957 lo scrittore pratese dal quale prende il nome. Apposto il primo timbro sulla pettorina, si procede nel bosco verso la Collina di Prato, per poi affrontare la temuta salita verso i Faggi di Javello, la cui porzione denominata “Pietraia” spaventa ogni anno anche i più allenati per pendenza e lunghezza. Al termine della salita e con la lingua a terra, incontriamo un piccolo ristoro gestito dalla VAB (Vigilanza Antincendi Boschivi), dove troviamo frutta, dolci ed un rifornimento idrico di acqua e succhi di frutta. Il tratto successivo è molto suggestivo sia per l’imponenza dei faggi spesso avvolti dalla nebbia o dalle nuvole, che per la presenza di alcuni monumenti ai caduti della Seconda Guerra Mondiale. Non si incontrano particolari difficoltà o salite fino al ristoro successivo, dove ci attendono crostini di salsiccia e salumi, uova sode, formaggi ed altre delizie e dove, apposta la firma sul registro, comicia la salita denominata “Straccalàsino”, che in dialetto locale significa sfianca, sfinisci, stanca l’asino. al termine della salita, sul crinale dei monti, incontriamo ed imbocchiamo il sentiero GEA 00. Questo Sentiero, la cui sigla sta per “Grande Escursione Appenninica”, ha origine sui monti della Verna nell’Aretino e conduce in Liguria abbracciando Casentino, Mugello, Appennino Tosco-Emiliano, Montagna Pistoiese, Garfagnana e Lunigiana. In questo tratto, è un sentiero ampio e pulito che segue un crinale ricoperto da un fitto bosco che talvolta si apre ad ovest permettendo viste mozzafiato in direzione della Valle del Limentra e dell’Abetone. Il tratto termina al Rifugio Pacini, in località Pian della Rasa, dove ci attende un piatto di pasta, un timbro sulla pettorina ed un meritato riposo, per quanto mi riguarda senza scarpe. A questo punto, l’argomento sulla bocca di tutti è uno soltanto: il temuto Monte Zucca, che dopo un’ora di cammino dal Rifugio Pacini, minaccia la resistenza di tutti con la sua interminabile salita dalla pendenza crescente e priva di curve, un momento in cui regna il silenzio assoluto fra gli escursionisti. A spingere i piedi, sui cui gravano ormai quasi trenta chilometri, è il pensiero del ristoro successivo, che ci aspetta proprio oltre il monte Zucca, all’interno del Tabernacolo di Gavigno. Qui troviamo ogni anno una deliziosa porchetta, pane e pomodoro, formaggi, vino e tanta allegria: al primo boccone il monte Zucca è già dimenticato e la mente volge al Monte delle Scalette, ultima salita della prima giornata di cammino. Lasciato il Tabernacolo, si sale subito in un bosco via e via più rado all’interno di un sentiero serpeggiante e tavolta incastonato fra le rocce denominato Roncomannaio, fino ad incontrare una parete di roccia bianca sulla quale trova posoto un ripido sentiero a zig-zag che, non fosse per l’irregolarità dei gradini, sembrerebbe appunto una scalinata. Dopo aver calpestato per alcuni metri il suolo Emiliano, rientriamo in Toscana e raggiungiamo “Quelle della Macedonia”, nome dell’ultiomo ristoro, dove un gruppo di volontarie prepara dal giorno prima montagne di macedonia, niente di più perfetto a questo punto della giornata. Scesi quindi fino a Montepiano, si raggiunge l’arrivo del primo giorno. In moltissimi si fermano per la notte nelle strutture locali o si organizzano per il campeggio, io fortunatamente riesco sempre a rientrare a casa dove dopo una doccia che sembra un’estasi, crollo distrutto in preda al dolore muscolare ed alla febbre da sforzo, che so essere ormai parte del gioco. Alle sei e mezza, io e Lorenzo, mio compagno di avventure di questa edizione e per la terza volta, siamo già a Montepiano per ripartire. L’aria è fresca e la luce meravigliosa, ma i primi passi sono quelli che più ricordano le fatiche del giorno precedente ed occorrono alcune centinaia di metri prima di scaldare i muscoli e sopportare i vari doloretti. Superato un breve tratto boscoso in saliscendi, si raggiunge la strada Montepiano-Barberino de Mugello, e la si segue fino al Parco Memoriale della Linea Gotica, dove imbocchiamo un tratto di strada sterrata molto ampia, solitamente cosparsa di pozzanghere di grandi dimensioni. E’ un tratto piuttosto monòtono, sicuramente il meno entusiasmante dei due giorni,e quello con meno variazioni, ad eccezione dell’ampia praterìa che circonda la fattoria de “Le Soda”. Il primo ristoro si trova a circa tre ore di cammino dalla partenza ed è eletto quasi all’unanimità come il migliore dell’intera manifestazione: a Montecuccoli infatti ci attende una grigliata spettacolare arricchita da crostini e tante altre delizie, nel tipico clima gioviale e di festa che si respira per tutti e due i giorni. Lasciamo a malincuore l’odore di carne alla brace per iniziare la salita che ci porterà sui Monti della Calvana. Si tratta di una salita poco impegnativa e dolce, che conduce verso il mio paesaggio preferito: le praterie sommitali. La Calvana infatti, prende il nome dal suo essere “calva” di alberi ed è famosa oltre che per gli sconfinati prati verdi, anche per le mucche ed i  cavalli che vivono in totale libertà per tutto l’anno e sono i padroni assoluti di questo territorio. Questo è anche il luogo dove sono cresciuto e conosco più di ogni altro, infatti, dal ristoro VAB che raggiungiamo in poco più di un’ora di saliscendi fra i prati, casa mia dista appena 25′ a piedi verso Ovest. Rifocillati di liquidi e frutta, saliamo nel bosco del Poggio Mandrioni fino alle praterie successive, quelle più ampie e vaste dove il rimboschimento operato dal Governo Fascista degli anni ’30 non è arrivato. E’ quassù che si incontra il maggior numero di mucche e cavalli ed è quessù che si trova la vetta più alta della seconda giornata, il Monte Maggiore, 916 metri slm. Questo paesaggio ha però il suo rovescio della medaglia, e ce lo ricordano le discese ripide, brulle e sassose che dalla sommità conducono rapidamente al Crocicchio di Valibona, dove si incrociano le strade provenienti dal versante Fiorentino e quello Pratese, alla base del Monte Maggiore e del Monte Cantagrilli. Il ristoro è gestito dal negozio di sport Campione, ed offre insalate fredde, ribollita, panzanella ed altri piatti della tradizione locale, oltre ad una fornitura di integratori di sali minerali, indispensabile per affrontare l’ultimo tratto. Se, come quest’anno, il tempo è bello, da questo momento non ci sarà più ombra fino all’arrivo e la salita che conduce alla croce metallica apposta sul Cantagrilli è decisamente sfiancante. Eppure, ogni volta, tutta la fatica scompare all’aprirsi del panorama che si gode da quassù. In una giornata tersa come ieri, c’è da rimanere senza fiato: si può vedere più di mezza Toscana, dal Mugello al Falterona, da Le Cornate al Monte Serra e fino alle Apuane, il tutto a fare da sfondo alla piana Firenze-Prato-Pistoia che si domina nella sua interezza e riconoscendo chiaramente il centro di tutti e tre i capoluoghi. Poco più avanti, una seconda croce posta subito sotto la vetta de La Retaia,  offre un vertiginoso sguardo sul centro di Prato che si trova così sotto di noi da farci sembrare sospesi. Invece, ahimé, è ancora lontano e scendere fino in città richiede uno sforzo non inferiore alla peggiore delle salite: le ginocchia implorano pietà e le caviglie minacciano ammutinamento, soprattutto nel tratto asfaltato finale, ma per quanto distrutti, feriti, dolenti e sudati si possa arrivare al traguardo, è sempre la soddisfazione a vincere su tutto. Io non vedo già l’ora che sia l’anno prossimo, e voi, che aspettate? Visitate: http://www.dapiazzaapiazza.it

Percorso GPS Giorno1

Percorso GPS Giorno2

Funny Life

Goodbye to the Y (che sì, fa rima)

Quanti hanno ricevuto soprannomi? Quanti si sono visti affibbiare titoli e appellativi assurdi, soprattutto durante l’adolescenza, da amici e conoscenti in cerca di approvazione ed autorità all’interno di una compagnia di ragazzini dalla mentalità collettiva e priva di individualismi? Ci hanno provato, con me, svariate volte, ma sono tutti caduti nel vuoto, nell’indifferenza, nell’insuccesso. E meno male! Alla soglia dei quaranta, ci sono alcuni poveretti che, non essendosi mai allontanati dalla realtà di paese, ancora portano il peso di epiteti atroci e affatto felici come “Trauma”, “Mafia”, “Rotolino”, o peggio. Io me lo sono messo da solo, quando ancora ero l’unico a possedere una connessione internet ed affacciandomi al mondo delle chat, Mirc per la precisione, decisi di combinare nome e cognome per ottenere una parola che mi ricordassi facilmente. E quella “Y” sembrava così internazionale, così figa, che non poteva mancare nello scrivere il mio nome tronco, che tutto intero nessuno, o quasi nessuno, ha mai voluto usare. Ultimamente ho provato un po’ di fastidio, quella “Y” mi stava sempre più antipatica, era diventata infantile, becera, buffa, inutile. E così, ho deciso di salutarla, per sempre. Oltre vent’anni di navigazione web, di tracce lasciate su social network, forum, siti ed iscrizioni, non sono stati facili da tracciare, ripercorrere e ripulire. Ma forse ci sono riuscito, anche se con molta fatica. Perciò addio, cara “Y”. Non mi servi più. E sarò masmassi, proprio così come si dice e si addice.

Italia, Toscana, Viaggi

Villa la Màgia, Quarrata

20140703-174553-63953618.jpgVilla la Màgia, l’accento è d’obbligo, è un vero gioiello! Una scoperta casuale e sorprendente, un luogo rimastomi incredibilmente sconosciuto fino a pochi giorni fa nonostante la vicinanza e l’importanza. In posizione dominante sull’unica collina esistente attorno a Quarrata (Pistoia), a parte il Montalbano, questa villa ha fatto parte del Barco Reale insieme alle ville Medicee di Artimino e Poggio a Caiano, vale a dire della zona di caccia della Famiglia Medici e dei loro ospiti. Sviluppatasi da una modesta casa-torre e via via ingrandita, oggi questa villa è Patrimonio dell’Umanità UNESCO insieme ad altre 10 ville Medicee in Toscana. Ma tutto questo potrete trovarlo facilmente su Wikipedia.20140703-174556-63956336.jpg Quello che non troverete online è la sorprendente ed affascinante quantità di aneddoti e curiosità, sparsi nel giardino e negli interni,  che la visita guidata tenuta dallo Storico dell’Arte Daniele Franchi ci ha fatto conoscere e rivivere. La villa infatti è di proprietà del Comune da poco più di un decennio, e fino a qualche anno fa ha ospitato diversi artisti contemporanei che hanno tenuto qui le loro mostre ed hanno lasciato più di una traccia sotto forma di oggetti, opere, installazioni e memorie sparse 20140703-174558-63958648.jpgovunque, e che sono ormai una componente fondamentale di questo luogo. Non starò qui a svelare la successione di bizzarri manufatti che si confondono con la vegetazione e le strutture, vorrei invece consigliare una visita dal vivo, sicuro del potere magnetico che subirete da tutto ciò. Troverete tutte le info sul sito ufficiale: http://www.villalamagia.com

Toscana, Trekking

Il sentiero “Magicandalla”

Mulino di Candalla

Nel versante Versiliese delle Apuane meridionali, questa profonda e stretta gola, incastonata fra pareti rocciose ed incombenti, è un luogo insolito e straordinario dove trascorrere una mezza giornata di trekking in una natura lussureggiante. Le numerose cascate e piscine naturali presenti sin dall’inizio del percorso, permettono di organizzarsi anche insieme ad amici e parenti meno avventurosi, che potranno rimanere ad attendervi facendo il bagno o leggendo un libro nel fresco del bosco.

Bivio mulattiera

Come Arrivare: dall’uscita autostradale di Viareggio prendere per Camaiore, e quindi per Vado-Casoli. Superato l’abitato di Lombrici, all’incrocio per “Casoli” presso il ristorante “Emilio e Bona” proseguite dritto, fino a superare l’Antica Ferriera Barsi, e cercate parcheggio. Il sentiero comincia poco più avanti, sulla sinistra, presso il mulino di Candalla.

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Il Percorso: Il Mulino di Candalla è molto scenografico, con la sua ruota dentata visibile ed una cascata adiacente che si getta in una bozza turchese e trasparente, ideale per un bagno. Presso la sorgente adiacente le scale, potrete riempire le vostre borracce prima di incamminarvi. Il sentiero sale subito in modo deciso ma gradevole, e vi conduce in brevissimo tempo ad un bivio, con un cartello poco visibile dipinto sulla roccia: è il momento di decidere se effettuare l’anello in senso orario o antiorario. Prendendo a destra verso “Mulini”, seguirete il sentiero fino a raggiungere un antico ed imponente opificio abbandonato, aggiratelo sulla sinistra e proseguite scegliendo sempre, ad ogni biforcazione, il sentiero più a destra, che vi permetterà infine di superare il corso d’acqua e salire sull’altra sponda fino a Casoli, da dove discenderete per la mulattiera e quindi fino a questo bivio.

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Noi abbiamo proseguito subito per Casoli, ed è questa direzione di marcia che andremo a descrivere. Scegliendo di risalire immediatamente la mulattiera, pavimentata con un antico acciottolato, si sceglie anche di compiere un discreto sforzo fisico ma che in venti minuti vi permetterà di mettere alle spalle ogni fatica e di godere poi di un percorso estremamente agevole e privo di difficoltà. La salita si inerpica fino al Bar la Frana. Svoltate a sinistra e prendete la scalinata per visitare il borgo di Casoli, caratterizzato da numerosissimi affreschi alle pareti della case, altrimenti proseguite a destra, preoccupandovi di tenere sempre d’occhio i segni gialli e bianchi che identificano il percorso, solitamente accompagnati anche da una freccia azzurra, e tracciati ora sulle pareti delle case, ora sul pavimento.

SONY DSCLasciata la frazione orientale di Casoli, il sentiero è ampio e piacevole fino al cimitero, dopodiché, superato il corso del fosso con un ponte in acciaio e legno, sale leggermente fino a condurvi ad un nuovo bivio: fate molta attenzione al cartello sulla parete sinistra indicante “Metato”, poichè non molto visibile. Voi dovrete lasciare il sentiero principale e prendere a destra, seguendo il sentiero che vi ricondurrà attraverso una vegetazione rigogliosa e lussureggiante, innumerevoli edifici abbandonati e lagune cristalline, al punto di partenza.

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Lungo il percorso, in discesa, si possono visitare i resti di numerosi edifici, ormai abbandonati, dei quali le piante si sono ormai impadroniti ma che rendono un’idea molto precisa di quanto questa gola fosse importante e vitale un tempo.

Varie

Val di Bisenzio

BisenzioLa Val di Bisenzio, o Valbisenzio, è una valle a nord della città di Prato in Toscana, scavata ed attraversata dal Fiume Bisenzio che, dopo pochi chilometri dalla sua sorgente, meno di cinquanta, si butta in Arno. E’ un fiume piccolo, sconosciuto ai più, che pure nei secoli ha avuto i suoi momenti di gloria. Ha alimentato le prime fabbriche tessili ad acqua, mosso mulini, e spinto la viabilità Romana a mezza costa a causa delle sue tendenze palustri. Ha alimentato, attraversato e drenato l’industria tessile pratese fino alla crisi, uscendo dalla città ridotto ad insignificante torrente perché smembrato fra le varie gore che solcano la città e la piana. Persino il nome della città pare originare da meriti riconducibili a questo fiume: infatti, dove ora si trova Piazza Mercatale, pare esistito un grande prato adibito ad orto dai cittadini che, quasi come in Egitto accadeva col Nilo, veniva inondato e reso fertile dal Bisenzio, e che venne utilizzato finché non fu racchiuso nella cinta muraria e trasformato in piazza, ancor oggi enorme. Cercato su Google, questo fiume, oggi rimanda per lo più notizie di cronaca legate al maltempo, alle frane, alle piene dello scorso inverno ed infine alle varie Comunità, Unioni, Associazioni e vari enti fioriti sulle sue sponde nel tentativo di valorizzare un territorio attualmente disperato. La Valbisenzio sta franando, sia letteralmente, morfologicamente quindi, che culturalmente. I fianchi delle colline stanno sgretolandosi e per farlo hanno scelto uno dei momenti storicamente peggiori: non ci sono soldi per rimediare e non ci sono le persone per prevenire. Non si è investito in niente che potesse invitare a restare o stimolare a venire ad abitare qui. Autorità e cittadini hanno preferito sfidarsi a colpi di partite di calcio, stare a guardare chi passa fuori dal circolo e, nella speranza che qualcun altro si accorgesse di questo luogo, sono rimasti come imbambolati in attesa di chissà cosa. Qualora poi, grazie soltanto alla propria insistente passione, qualcuno si accorgesse della Rocca Cerbaia menzionata da Dante nella Divina Commedia, delle Strade Romane, delle Torri Medievali di Sofignano, della Rocca di Vernio, delle sconfinate praterie dai cavalli allo stato brado, beh, sarebbe il benvenuto, ma dovrebbe cavarsela da solo per trovare ciascuni di questi posti, quasi tutti in pieno degrado e senza strade o indicazioni per raggiungerli. A stimolare il tutto, un rarefatto e costoso servizio di trasporto pubblico, una Strada Provinciale fatiscente ed abbandonata, un paio di paesi principali, Vaiano e Vernio, brutti e mal organizzati. Ebbene, nonostante tutto, io non me ne vado. Perché poco più in alto di tutto questo esiste un paradiso, un mondo tutto mio nel quale sono cresciuto, nel quale credo ancora e che reputo prezioso, nella speranza che più a valle ritorni l’amore per il territorio al momento completamente assente.

Toscana, Trekking

Parco Naturale dell’Orecchiella

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Cartina alla mano, pic-nic nella mente ed Hela al guinzaglio, Nicola ed io partiamo per visitare il Parco dell’Orecchiella, in Garfagnana. Il web ne tesse le lodi per la meravigliosa varietà faunistica, per la flora rigogliosa, per l’accessibilità ai disabili e gli innumerevoli sentieri da trekking di vario livello.  La segnaletica, invece, praticamente  lo ignora provenendo dal casello di Lucca Est, poi finalmente compare un imponente cartello marrone su una moderna rotatoria presso Castelnuovo in Garfagnana  ed infine… più nulla! Poco male, ho le idee molto chiare e l’orientamento abbastanza allenato: ci arriviamo in poco più di due ore da casa (Prato) coi nostri panini, le scarpe da trekking e quanto occorre per un sano relax da venticinque Aprile. Respiri profondi ed abitudine al peggio mi permettono di comportarmi in modo quasi contenuto quando, presso il centro visitatori, scopriamo che i cani non sono ammessi.

Non sono ammessi nei prati, nelle aiuole, nei recinti per famiglie, nei sentieri, nei boschi in genere, praticamente… nel parco! La motivazione è surreale: “i cani disturbano la fauna locale”. Immaginando che Lupi ed Orsi Bruni non arrechino alcun disturbo agli allegri cerbiatti disneyani ed alle danzanti moffette, mi sono guardato un attimo attorno ed ho pensato: che animali moderni! si alterano con un cane al guinzaglio e se ne infischiano di sguinzagliate orde di mocciosi urlanti con le loro pistole giocattolo, palloni ed ultrasuoni cosmici verso madri imbevute di cafoneria! Soluzione? Contare fino a dieci, girare i tacchi ed andarsene.

Aggiungo solo che la definizione di “Parco Naturale” mi pare quantomeno ridicola visto il triste zoo di animali in gabbia imprigionati a godimento delle famiglie paganti.