Dialoghi di Casa Manilo

Peter

(mentre leggi, ascolta “Cirrus – Bonobo”)

Giugno 2019, giardino

Ho appena finito di cenare, quando uno dei miei tre ospiti mi chiama e, pregandomi di seguirlo, mi conduce nel giardino di sotto, davanti alla mia porzione di casa. Indossa una camicia bianca, pantaloni grigi a righe, da camera, e ciabatte invernali. Ha la mia età, ma sarebbe stato pressoché impossibile dirlo, se non avessi registrato il suo passaporto il giorno prima. Viaggia in compagnia di un altro uomo e di una donna, bellissima e sorridente. Mi hanno chiesto tre camere separate, suppongo si tratti di amici, ma non so altro, infatti, si son mostrati subito riservati al loro arrivo e, a parte l’entusiasmo per la casa, tale da portarli ad estendere la permanenza da una a quattro notti, non ho avuto modo di parlare con nessuno dei tre, fino a questo momento.

«Massi, mi puoi dire che alberi sono questi?» esordisce, indicandomi un olivo. Rispondo, spiegando di cosa si tratti, e prosegue «Le foglie si usano? Quando maturano le olive? Si possono mangiare dall’albero? E quello laggiù, che albero è?».

Mi fa molta tenerezza e rispondo con quanta più completezza possibile, provando un piacevole gusto nello spiegare qualcosa di così ovvio per me, e nello scoprire che per lui non lo è affatto. Il dialogo prosegue in modalità “nonno-nipote” per qualche minuto, con Peter che, puntando il dito verso il paesaggio che ci circonda, continua ad interrogarmi con i suoi occhialetti rotondi e dorati, e con la sua testa completamente rasata. Mi sembra quasi di stare parlando con  un bonzo. Improvvisamente ci interrompe Hela, la mia cagnolina, Peter si accuccia in quella postura fisicamente possibile solo agli asiatici, e, accarezzandola, interrompe la serie di domande per raccontare qualcosa di suo.

«Noi ti invidiamo molto Massi, sai? Questo posto è bellissimo, la campagna, il bosco. Da noi nessuno possiede del terreno e solo pochissimi possiedono un piccolo giardino. Gli altri due ragazzi sono scrittori, scrivono guide turistiche e saggi di viaggio. Nella sola ultima settimana hanno fatto Olanda, Belgio, Francia e Nord Italia. Noi orientali, come saprai, quando veniamo in Europa, cerchiamo di vedere quanti più luoghi possibile. Stanno scrivendo un libro sul rapporto degli europei con lo straniero, immigrato o turista, cercando di raccogliere del materiale in località il più possibile defilate, come questa». Si alza, lasciando Hela libera di allontanarsi, e prosegue. «Io li ho incontrati soltanto ieri, sul Lago di Como, ho fatto un giro completamente diverso dal loro, arrivo da Spagna e Provenza. Ci siamo conosciuti lo scorso anno, sempre in un viaggio ma in Corea, e avevamo previsto di trascorrere una notte qui, a Casa Manilo, per salutarci, passare una sera insieme, e proseguire poi per destinazioni diverse: loro diretti in Austria e Germania, io, invece, a sud». Ho quasi paura di interromperlo, perché ascoltarlo è affascinante, ho addirittura il timore che possa pensare di annoiarmi, quindi sorrido e faccio assensi col capo, mentre parla, per incitarlo a proseguire. «Io, sai, sono in Europa per ragioni completamente diverse dalle loro. Due ragioni, in realtà. La prima, è cercare di capire e scoprire cosa significhi spiritualità. Ho letto molto di religione e devozione, di passione per la fede e sacrificio, ma, non essendo religioso, non riesco a capire cosa possa significare, per qualcuno, dedicare la propria vita a qualcosa di non dimostrabile, di irreale, di astratto e misterioso. Non ho intenzione di abbracciare alcun credo, ma sto cercando di visitare alcuni luoghi della spiritualità per osservare, proprio da spettatore, questa realtà a me ignota. Così ho visto Santiago di Compostela, Avila, alcuni altri monasteri nel sud della Francia e infine avrei dovuto proseguire per Camaldoli, La Verna, Assisi ed infine Roma. Ieri sera però, siamo rimasti tutti e tre così colpiti dal tramonto e dalla bellezza del panorama, che abbiamo deciso di fermarci quattro notti anziché una soltanto: loro sistemeranno i loro appunti ed io… beh, più spirituale di questo luogo, non credo possa desiderare. Rinuncerò alle tappe intermedie ed andrò direttamente a Roma». Sono sempre più rapito da questo dialogo inatteso e particolare, cerco con lo sguardo Nicola nelle finestre di casa nostra ma senza individuarlo, mi piacerebbe venisse ad ascoltare questo ragazzo insieme a me. Peter sembra essersi accorto della mia momentanea distrazione, così, perché prosegua, chiedo quale sia la seconda ragione che lo ha portato in Europa. Mai avrei potuto immaginare la risposta che stavo per ricevere.

«Il secondo motivo del mio viaggio in Europa è vedere, a quarantasette anni e per la prima volta, il cielo e le stelle!». La mia espressione, sbalordita ed incredula, deve colpirlo, perché, da sorridente e leggero, il suo tono diventa appena più gravoso e serio. «A Seoul – che, scopro in quel momento, si pronuncia sòl [ndr], –  non si vedono le stelle la notte ed il cielo non è mai azzurro di giorno. Abbiamo tanto inquinamento, una cappa costante sulla città e, spesso, la sabbia del deserto mongolo rende il tutto giallastro e polveroso», si tocca quindi il colletto della camicia, per poi proseguire «Alla sera siamo sempre sporchi di smog e sabbia, la città è sovraffollata ed occupa un’area così vasta ed urbanizzata che non è semplice allontanarsi spesso». A quel punto incrocio le braccia, inclino la testa esprimendo stupore ed interesse, e chiedo se nelle campagne, o nelle zone agricole, la situazione sia diversa. Vedo che Peter, nonostante non mi stia facendo un quadro molto allettante del proprio Paese, ha piacere di proseguire il racconto. «In Corea del Sud quasi tutta la popolazione vive nei due principali centri urbani. Le campagne sono quasi totalmente spopolate e l’inquinamento dell’aria non risparmia ormai nemmeno quelle. Difficilmente, col tenore di vita che abbiamo, esiste il tempo di andare nelle campagne o altrove nel Paese, preferiamo risparmiare e fare un viaggio come questo. Pensa, durante la scuola primaria viene solitamente fatta una gita su una delle pochissime colline che abbiamo, per permettere ai bambini di intravedere qualche stella. Ieri sera, qui, nel tuo giardino, abbiamo spento le luci esterne e ci siamo stesi a guardare il cielo. Sono in Europa ormai da una settimana, ma sempre in città o cittadine. Vedere il cielo da qui è stato commovente, grazie».

Ho messo la casa in cui sono cresciuto su un famoso sito per affittare ai turisti. L’ho fatto così, quasi per gioco, sperando di avere ogni tanto qualcuno che la abiti, dopo che i miei sono entrambi recentemente scomparsi. Ebbene, il solo aver avuto Peter, anzi, questa sola conversazione con lui, mi fa pensare di aver già ottenuto il più grande compenso possibile: il confronto. Questa chiacchierata è stata un piccolo viaggio, emotivo e mentale. Certo, il mio cielo è questo da tutta la vita, e spero rimarrà tale, i miei alberi sono gli stessi, piccoli, ovvi, scontatissimi ed onnipresenti olivi da sempre. Eppure, dopo stasera, credo che tornerò spesso a pensare a come, incredibilmente, tutto questo possa essere così meraviglioso e stupefacente per qualcun altro, in qualche parte del mondo, e che costui, per puro caso, potrebbe trovarsi a passare da qui.

 

 

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Italia

Sei in un Paese Meraviglioso!

sei un paeseLo ripeto continuamente, e chi mi conosce lo sa bene: le carte geografiche mi attraggono e non mi stancano mai, ed è proprio grazie a questo che, ultmamente, ho subito il fascino delle nuove installazioni comparse negli Autogrill di Autostrade per l’Italia: cartografie enormi e molto chiare dell’area intorno al luogo in cui ci si trova e con le indicazioni per raggiungere dalla posizione corrente tutte le principali località turistiche della zona. Una iniziativa lodevole, dal titolo importante e tronfio ma decisamente adeguato e veritiero: “Sei in un Paese Meraviglioso! Scoprilo con noi!” (noi di Autostrade, ndr).

In effetti, la grande maggioranza delle località turistiche, note e meno note, è accessibilie sopratutto grazie alla nostra rete autostradale, una rete pionieristica negli anni 60-70 ma che, nonostante l’amore per la polemica che ci contraddistingue, si difende molto bene ancora oggi per manutenzione ed avanguardia. Ho viaggiato molto in auto, in Europa, Asia ed America, e proprio per questo amo particolarmente le nostre autostrade dalla cartellonistica quasi unica. Basta infatti andare nella vicina Francia, ad esempio, per notare la differenza: qualche cartello riepilogativo delle distanze di alcune delle principali località e nient’altro, in corrispondenza degli svincoli, ci si deve accontentare della sola parola “Sortie”, senza nemmeno un nome di città. Percorrendo le nostre autostrade, invece, incontriamo un cartello ad ogni chilometro che annuncia le uscite successive e le aree di sosta, eredità riadattata e ancora funzionale delle pietre miliari romane, avvicinandoci ad ogni uscita, troviamo una serie di cartelli riepilogativi delle località servite dallo svincolo, ed infine, il nome dello svincolo stesso che prende nome dalla città più importante e vicina che si può raggiungere uscendo. A tutto questo, si aggiungono nomi di viadotti e gallerie, display luminosi ed i pannelli marroni turistici, nati a fine anni ’90. Sembra molto scontato, ma siamo praticamente i soli a possedere una così ampia gamma di informazioni durante il viaggio. 

Questa nuova iniziativa, non si limita ai soli pannelli ed alla cartografia, ma viene accompagnata da una serie di documentari in onda su Sky Arte HD che presentano molte delle località servite da Autostrade per l’Italia, una promozione turistica efficace ed immediata che, per quanto mi riguarda, invita alla scoperta ed al viaggio. Dal sito di Autostrade per l’Italia è possibile visualizzare tutte le cartografie installate, con le relative schede descrittive complete di cucina locale, borghi, percorsi e molto altro. Il turista che decidesse di percorrere il nostro Paese in Auto, avrà così l’imbarazzo della scelta: basta una sosta caffè ed ecco tutte le notizie sul territorio, ovviamente, anche in Inglese.

Tutte le informazioni sono reperibili al seguente link, buon viaggio a tutti, nel nostro Paese veramente meraviglioso, e come dice Cremonini nella sua canzone, così appropriata a questo articolo, “e per quanta strada ancora c’è da fare… Amerai il finale!”

http://www.autostrade.it/sei-in-un-paese-meraviglioso/

Funny Life, Mondo

Il giorno più incredibile della mia vita

Tredici anni fa era il mio primo giorno di lavoro. Un lavoro strano, un salto nel buio, un’offerta venuta da un annuncio messo per caso e che avevo dimenticato, un colloquio al quale nemmeno volevo andare. Un ufficio molto bello, nel centro storico, un’attività incomprensibile, qualcosa a proposito del commercio di macchinari strani per barche, che nella mia città non abbiamo neppure un laghetto grande abbastanza da ospitarne una, anche piccola. Ci provo, mi dico, sicuramente meglio che in fabbrica dove, nell’attesa, facevo i turni in compagnia di un macchinario molto più umano di tanta gente. Il primo giorno di lavoro: una giornata alienante, dove persino spostare una matita era spaventoso, il terrore di alzare la cornetta e dimostrare il mio inglese, la paura folle di sbagliare. Era una ditta Americana di Seattle, il che rendeva abbastanza esotico ed affascinante raccontare del mio nuovo lavoro ad amici e parenti. E poi, dopo pranzo, boom. Tutto venne congelato: le torri gemelle emisero un frastuono tale, implodendo, da far tacere le e-mail per giorni, il telefono per settimane, il commercio per mesi. Invece, tredici anni dopo, siedo ancora alla stessa sedia, che nel frattempo è stata spostata in un nuovo ufficio. C’è ancora quel frastuono nell’aria, quel rumore sordo e quella polvere che prosciuga la saliva anche attraverso un telegiornale, e c’è ancora lo strascico di una crisi nata quello stesso giorno, quando molti fra i popoli più arroganti della Terra hanno fatto i conti con la propria vulnerabilità e preso coscienza che i loro valori, per quanto assunti ed apparentemente perfetti, non erano assoluti. Un salto nel buio nel giorno peggiore possibile, ho fatto, quel giorno. Il giorno più incredibile della mia vita.

Cucina, Italia, Mondo, Viaggi

Mercato Centrale, Firenze

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Durante i miei viaggi ho finito spesso per andare alla ricerca di una food court, un luogo cioè con un’ampia scelta di chioschi e ristoranti che permette in poco tempo di mangiare bene e sedersi insieme ai propri compagni pur scegliendo pasti differenti. Ricordo le food court di Pier 17 a New York, la scenografica distesa di tavolini al Bayside di Miami, Kungshallen a Stoccolma, il caotico Camden Town a Londra e quelle presenti nei modernissimi mall di Bangkok e Pechino. Tutte però, con il comune denominatore multietnico: luoghi come gli Stati Uniti infatti, dove la cucina locale ha una tradizione praticamente inesistente, non possono fare altro che offrire una scelta di pietanze provenienti da tutto il mondo: sushi espresso, pizzeria, self service cinese, burritos messicani, paella spagnola e così via. A Firenze, invece, oggi c’è di più. Al Mercato Centrale di San Lorenzo, struttura restaurata e dalla scenografia senza paragoni, il piano superiore è stato completamente rinnovato ed allestito con un luogo votato al convivio, dove all’insegna di un design modernissimo che non entra in conflitto con la struttura storica, è possibile sedersi a mangiare prelibatezze di innumerevole varietà, tutte però rigorosamente locali e dalla qualità garantita. Gli arredi in legno ed acciaio e la divisa comune a tutto il personale affidano il compito della diversificazione al cibo stesso, che sostiene egregiamente il compito di stuzzicare l’occhio ed umettare il palato. Dalla pasta fresca alla carne, dal pesce ai formaggi, dal gelato artigianale alla birreria, tutto appare perfetto, soprattutto al turista che può finalmente fuggire, con una spesa contenuta, alle piramidi di gelato di polistirolo e cataste di pizze al taglio di spugna traboccanti dalle vetrine del centro storico che da decenni consegnano al mondo un immagine distorta della cucina locale. Io, mi sono lasciato incantare dalla preparazione del panino al lampredotto, anima di Firenze, qui preparato seguendo tutte le tradizionali accortezze del caso, compreso il bagno del pane nel brodo. A completare il tutto, una scuola di cucina che, a giudicare dall’aspetto professionale delle attrezzature e degli insegnanti, sembra perfetta.

Srī Lanka, Srī Lanka, Viaggi

Sri Lanka (Ceylon)

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Questa volta voglio annotare le impressioni di viaggio mentre ancora mi trovo qui, nell’isola di Ceylon, la lacrima dell’India, la terra del tè, lo Srī Lanka, che significa “isola risplendente”. A risplendere sono i bianchi sorrisi di questa gente dagli occhi gentili e i modi cordiali, persone per lo più molto povere e con scarsi mezzi ma generose ed accoglienti. Uomini dai variopinti sarong, donne dai lineamenti perfetti che sfoggiano lucidi sari e perfette acconciature, bambini che vanno e vengono da scuole in uniformi bianche e linde come nel miglior spot del detersivo e impiegati che si affollano pazienti su autobus lanciati a folle velocità nelle loro camicie incredibilmente linde e stirate anche a fine giornata, nonostante il caldo opprimente. È evidente come pulizia e cura dell’abbigliamento siano importanti mentre è davvero misterioso il metodo col quale si mantengano così perfetti e impeccabili in un clima così impietoso. Il sole regola le giornate. Alle sei, mentre albeggia, al suono delle centinaia di uccellini si unisce il fruscio delle scope di saggina: sono tutti già in piedi a spazzare davanti alle proprie abitazioni. Poco dopo, dalle foreste del triangolo d’oro alle cittadine balneari del sud, si sente la musica del camioncino del fornaio che consegna pane e dolci: tutti con lo stesso brano: Per Elisa di Chopin. I tuk tuk, onnipresenti, sono già in giro e gruppi di bambini in bianco ed azzurro si incamminano verso le scuole. Ebbene, lasciando alle foto il compito di mostrare i siti archeologici e le meraviglie naturali (foto che aggiungerò al mio ritorno) e prima di passare al diario, concludo dicendo che non fosse per l’orrenda abitudine di gettare i rifiuti dove capita, rendendo le strade un fastidioso corridoio fra le bottiglie e le buste di plastica, questa terra potrebbe essere davvero il paradiso.

DIARIO DI VIAGGIO

DAY 1: COLOMBO

Colombo di Domenica ci accoglie deserta. Lonely Planet segnala siti di interesse che si rivelano in realtà molto poco attraenti, tutti i negozi sono chiusi ed i guidatori di tuk tuk, come già sperimentato in Thailandia, provano ad obbligarci alla visita non richiesta di venditori di pietre preziose anziché trasportarci semplicemente alla destinazione richiesta. Calura e stanchezza accumulata in un volo insonne, a causa dei bambini urlanti, ci portano a preferire la stazione di Fort come luogo di attesa (interminabile) del treno per Anuradhapura. Arriviamo alle 1840, col desiderio di sbarazzarci del pesante zaino e fare una doccia. Il B&B Senowin è grazioso, la camera semplice ma carina, una rapida cena e poi, finalmente, a letto.

DAY2: ANURADHAPURA E MIHINTALE

Noleggiamo le bici e partiamo prestissimo per la vecchia Anuradhapura. Si pedala bene nonostante il caldo e seguiamo l’itinerario da sud a nord nell’immensa area delle rovine. Togliamo le scarpe come da costume locale per accedere ad ogni tempio: il pavimento è rovente e spesso ci ritroviamo a correre verso l’ombra. La vegetazione è stupenda e il sito meraviglioso, ma l’area è davvero immensa. Alle 14 siamo già nella zona nord, quella del Monastero di Abhayagiri, dove si concentrano i siti più famosi: le Twin Ponds, la Elephant Pond ed il Buddha seduto. Terminiamo la visita e rientriamo con l’intenzione di visitare già oggi anche Mihintale. Pranziamo in un ristorante a buffet di Riso & Curry locale: ci si lava le mani e, dopo aver posto una gande foglia di loto sul piatto, si sceglie la qualità di riso e la varietà di accompagnamenti da una fila di contenitori in terracotta: il cibo è ottimo e la spesa ridicola. Preso un autobus, raggiungiamo la ripida scalinata che ci porta sulla vetta di questa collina dove, si narra, l’antico Re di Anuradhapura si convertì al Buddhismo. La vista è splendida e fino al tramonto, in tutta calma, ci godiamo questo sito assieme a pochissime altre persone. Organiziamo con un guidatore di tuk-tuk il trasporto verso Sigiriya per l’indomani, comprensivo di soste al Buddha di Aukhana ed alle rovine di Ritigala: ci sembra il modo migliore per non saltare questi due siti come saremmo costretti a fare usando autobus o treno. Ceniamo in un “hotel”, nome che qui è sinonimo di trattoriai: mangiamo un Kottu Rotti, tagliolini saltati con verdure carne e formaggio mentre assistiamo, con gli altri commensali, alla partita di cricket SriLanka-Australia in tv.

DAY3: VERSO SIGIRIYA

L’autista col quale avevamo preso accordi, inspiegabilmente, non si presenta all’appuntamento e dobbiamo chiamarne uno tramite il B&B. Si tratta di un signore piuttosto anziano con un vecchio tuk tuk che per la stessa cifra ci porterà a destinazione eliminando però la sosta a Ritigala. Il viaggo è lento e piuttosto lungo e quando finalmente arriviamo al Buddha di Aukhana ci sembra di aver viaggiato per giorni mentre in realtà sono passate appena due ore. Questo Buddha è stato scolpito da un unico blocco di roccia, al quale rimane unito per la schiena. C’è anche una scolaresca in gita a visitarlo che aggiungendo quel tocco di magia in più all’intero sito. Ripartiamo, sembra che il nostro autista non sia molto pratico delle strade ma dopo un paio di direzioni sbagliate arriviamo comunque nel caos di Dambulla che però, cambiando programma, decidiamo di non visitare perché troppo stanchi e perché il grosso zaino è veramente insopportabile a queste temperature. Ci trasferiamo a Sigiriya. Inizialmente ci prende un po’ di sconforto: il Choona Lodge è sperduto nella jungla, non esiste un centro urbano (nuovo errore di Lonely Planet) e tutte le comodità sono irraggiungibili a piedi. Tentiamo infatti di seguire il sentiero di accesso al sito Unesco per poi aggirarlo a sud e trovare il paesino indicato dalla guida, ma le distanze sono veramente grandi e impieghiamo oltre due ore di cammino, sebbene in un paesaggio straordinario, per poi scoprire che non c’è alcun paese, ma una fila di casupole con un ortolano e un alimentari. Il caldo ha la meglio e decidiamo di rientrare. Prima però, su suggerimento del gestore, facciamo una passeggiata nei dintorni del nostro alloggio ed è qui che apprezziamo maggiormente la posizione in cui ci troviamo: oltre il nostro giardino, una grande roccia permette la vista su un lago molto selvaggio pieno di uccelli, bestiame e persone che fanno il bagno: il tramonto è superbo. La cena, cucinata dalla proprietaria, è nuovamente a base di riso e curry ma è deliziosa, la migliore finora. La serata la passiamo guardando una serie tv sull’iPad.

DAY4: LA SCALATA DI SIGIRIYA

Mancano pochi minuti all’apertura della biglietteria e noi siamo già davanti allo sportello. Ovunque abbiamo letto quanto sia indispensabile partire presto per evitare il caldo, ma quello che mi preme maggiormente è evitare la folla e infatti, accediamo ai meravigliosi resti dei giardini reali che circondano la formazione megalitica di Sigiriya per primi, nella fioca luce dell’alba. Ci dirigiamo dritti verso gli scalini che portano alla sommità, rimandando la visita dei giardini al ritorno. E’ una salita lunga e faticosa ma altrettanto straordinaria ed abbiamo la fortuna immensa di viverla tutta per noi, nel silenzio assoluto. Giunti sulla vetta, dove solo un solitario cane randagio aspetta la nostra compagnia, ci prendiamo tutto il tempo per il riposo, le fotografie e l’esplorazione. Ci sediamo su un muretto a strapiombo dal quale si ammira l’area circostante, fino alle montagne a sud verso Kandy. Quando ripartiamo, l’area brulica di turisti e nella discesa incrociamo un unica interminabile processione di persone che, mi spiace per loro, non sapranno mai cosa significa vivere questo posto in solitudine e pace. Visitiamo tutta la zona sottostante con calma e sempre da soli, mentre tutti stanno ancora arrampicandosi e nessuno è ancora ridisceso. Nella tarda mattina siamo già a Dambulla, il bus ci lascia abbastanza vicino all’ingresso delle famose grotte dai numerosi Buddha, ma decidiamo di pranzare prima di affrontare questa nuova salita. Il ristorante, dove ancora una volta ci viene servito riso e curry, è gestito da un signore che, appena scoperta la nostra provenienza, insiste perché Nicola parli al telefono col figlio che ha vissuto a Firenze e si è sposato con una italiana. La salita al tempio di Dambulla è ripida ed estenuante, siamo costretti a fermarci un paio di volte prima di arrivare a destinazione, ho la sensazione di respirare fuoco tanto è calda l’aria. Il tempio è particolare, opulento e colorato all’interno, tuttavia artisticamente parlando non contiene poi queste grandi opere d’arte se comparate alle nostre dello stesso periodo: vero è che ogni etnìa ha avuto ritmi e storia diverse, ma in assenza di ragioni religiose, onestamente, osservare decine e decine di statue in cemento identiche fra loro e realizzate con uno stampo, non riesce ad affascinarci granché. Ritorniamo al nostro alloggio ed il figlio quindicenne del nostro albergatore, che compie gli anni proprio oggi, è davanti casa ad attendermi perché, come invece avevo dimenticato, avevo promesso di fare una partita a Cricket con lui. Sono distrutto ma non so dire di no ed anche se la cosa è molto divertente conto i minuti che mancano al tramonto per potermi finalmente riposare. Lui e la sorellina sono molto bravi a battere ma quando la palla viene lanciata in giardino o nella boscaglia oltre la strada, correre fra sassi e sterpaglie è un vero dramma per i miei piedi occidentali così snaturati.

DAY5: POLONNARUWA

Nuovo tour, nuovo autista. Un tuk tuk ci preleva alle 7:30 alla volta di Polonnaruwa, 55km a est di Sigiriya. Questo autista, gentile ed umile come, ormai mi pare di capire, tutti i ceylonesi, ci fa visitare le rovine di questa antica capitale succeduta ad Anuradhapura, aspettandoci fuori da ogni tempio e palazzo. Preoccupato che ci si possa perdere, ha insistito per fornirci il suo numero di cellulare e ci guida da sud a nord selezionando per noi quali e quanti punti di interesse vale la pena visitare e quanto tempo dedicare ad ognuno. Attorno a mezzogiorno, decidiamo di invitarlo a pranzo lasciando scegliere a lui il ristorante anche perché tanto la pietanza, abbiamo ormai capito, è la stessa. Proviamo a consumare il riso con le mani come da costume locale, ma ci risulta impossibile nonostante l’impegno, e ci arrendiamo ad un comodo cucchiaio. Sulla via del ritorno il nostro autista rallenta davanti a quella che sembra una festa all’aperto, sbirciando dentro con tanto entusiasmo ed interesse che gli propongo di fermarci perché anche per noi è invitante. Siamo a Giritale ed è in corso una festa di fine scuola con vari giochi per bambini organizzati all’aperto: un balletto di piccole ed aggraziate bimbe in arancione, il tiro alla fune dei maschietti ed il gioco della seggiola (tale e quale al nostro), dove girando attorno ad un cerchio di sedie, allo smettere della musica bisogna sedersi eliminando chi resta in piedi. Rientrati, nel nostro piccolo angolo di paradiso ed io, non pago e sollevando Nicola dalla mia incapacità di stare fermo, noleggio una bici e mi dirigo nella vegetazione, seguendo le strade di terra battuta, verso Pidurangala, una roccia simile a Sigiriya: la mia idea è quella di individuare i resti della città esterna alle mura che, secondo una mappa vista al museo, si trova proprio alle spalle dei giardini reali. Insisto fino a spingermi nella vegetazione fitta, graffiandomi le braccia e riempiendo gli abiti di pillacchere appuntite, ma non appena decido di rientrare, con l’urgenza data dal tramonto imminente e dalla pericolosità del buio a causa degli elefanti vaganti, mi accorgo che la ruota posteriore è forata! Spingendo la bicicletta, affretto il passo verso la zona abitata ma la distanza è veramente troppa per anticipare il buio: naturalmente, non c’è segnale al cellulare. Improvvisamente, ecco il mio salvatore: un ragazzo in moto carica me e la bici (che da vero equilibrista tengo sospesa fra noi due) e mi riporta al Lodge.

DAY6: KANDY

Esiste un solo autobus che collega Sigiriya a Kandy e passa alle 6:20 ma siamo disposti a tutto pur di prenderlo ed evitare i due cambi altrimenti necessari. Oltretutto, come ci avevano detto, ci sono un sacco di posti a sedere a disposizione e potremo stare comodi da subito e per tutto il viaggio. Mi era però sfuggito che, oltre alla distanza, avremmo dovuto affrontare un lunghissimo tratto di tornanti a strapiombo, superata, la città di Matale. Arriviamo strapazzati a dovere e con un po’ di nausea attorno alle 11:30 e l’albergo, il Kanda Uda, non ha ancora la stanza pronta per noi. Visitiamo il centro di Kandy un po’ delusi da questa cittadina: ennesima bufala della Lonely Planet che descriveva questo centro, patrimonio Unesco, come un gioiellino coloniale tranquillo e “sonnacchioso” mentre in realtà è un inferno di traffico, clacson e gente pronta a pedinarci per proporci i più inutili affari. Pranziamo in una terrazza panoramica al ristorante History, che dichiara ufficialmente la fine della nostra fiducia in Lonely Planet, e rientriamo in hotel, fortunatamente scoprendo che effettivamente il lungolago a sud del Tempio del Dente di Buddha merita una passeggiata. Disgraziatamente, decido di provare a radermi i capelli con il rasoio che abbiamo portato, ma sia io prima che Nicola poi, facciamo un disastro di scalature e chiazze pelate ed il rasoio si scarica completamente prima che si possa rimediare allo scempio: usciamo di nuovo, stavolta alla ricerca di un barbiere. Veniamo accompagnati da un coiffeur del centro molto spartano ma molto pulito che, capita la situazione, si mette al lavoro regalandomi una perfetta sfumatura al prezzo di appena 250 rupie (nemmeno 2 euro). Nicola mi sembra un po’ provato perciò cedo alla sua richiesta e, a malincuore, accetto di andare da Pizza Hut per cena. La pizza non è male, ma ci costa come tutti i pasti fatti fin qui messi insieme.

DAY 7: IL TRENO PER ELLA

E’ arrivato il giorno del treno, quel treno famosissimo che si vede nei documentari e nelle riviste e che si arrampica fra le piantagioni di tè su per i monti della Hill Region. Prendiamo quello delle 8:30 e ci accomodiamo in seconda classe. Ci sono tanti altri turisti a bordo e le 7 ore di viaggio sembrano non spaventare nessuno. In effetti, il panorama muta così spesso che ha un effetto magnetico: scatto centinaia di foto di campi, laghi artificiali, corsi d’acqua, risaie e persino foreste di conifere che ignoravo potessero crescere quaggiù. Arriviamo ad Ella riposati e sereni e quando scopriamo la bellezza della camera che ci attende qui siamo ancora più felici. La cittadina è carina e raccolta, ad una altitudine di 1000 metri. Ci prendiamo un Lassi, bevanda a base di yogurt e frutta, e ci rifugiamo in camera con la cena da asporto sfuggendo ad un acquazzone tropicale che in pochi minuti allaga il paesaggio: fra tutti, questo è decisamente il momento migliore per vivere una vera pioggia tropicale e ci sembra quasi un dono, una cosa estremamente positiva.

DAY8: VERSO SUD

La mattina seguente una sorpresa: ho la dissenteria: il Lassi ha fatto proprio ciò che il nome suggeriva. Me la cavo dedicandomi al bagno dalle 4:30 alle 9:00 circa, poi sto abbastanza bene da fare un piccolo trekking verso il Little Adam’s Peak, ad un’ora di cammino. Si tratta di una vetta molto facile ma molto panoramica che si vede dalla nostra camera. Ci accompagna una cagnolina che Nicola battezza Moira (chissà perché?) e non ci lascia fino a buona parte del ritorno quando, rassegnata alla nostra mancanza di viveri, si aggrega ad una coppia nella direzione opposta. Fatti i bagagli, prendiamo l’autobus verso sud e durante il tragitto ecco la seconda sorpresa: anche Nicola ha la dissenteria, con la differenza che mancano quasi due ore all’arrivo e non c’è modo di andare in bagno. Ha la faccia grigia sfumata di verde e giallo ed un’espressione da cadavere, ma nonostante la mia insistenza decide di non scendere alle fermate intermedie. Quando finalmente arriviamo al nuovo alloggio, lo vedo sparire per quasi mezz’ora. Ci troviamo a Debarawera, piccolo centro in posizione strategica per il safari che ci aspetta domani. Il nostro ospite è un buffo ragazzotto dai modi pittoreschi che enfatizza con espressioni facciali degne di Paolo Poli ogni frase, a stento rimango serio. E’ gentilissimo e la struttura nuova e pulita. Per cena, appreso il nostro stato, ci prepara un riso bianco con verdure bollite, sale olio e pepe: quello che ci vuole per sistemare l’organismo. Prima di cena, però, ci facciamo una passeggiata al mercato dove trascorriamo un’oretta incantati dalla meraviglia dei prodotti locali.

DAY9: SAFARI

Il nostro ospite si rivela ancor più eccezionale stamattina: abbiamo l’appuntamento con la jeep per il safari nel Parco Nazionale di Yala alle 5:00, e lui per quell’ora ci ha già servito la colazione e preparato il pranzo al sacco sia per noi che per guida ed autista. Partiamo che è ancora buio e quando raggiungiamo l’ingresso del parco un bel gruppo di altre jeep è in attesa dell’apertura: scendiamo tutti per osservare il primo coccodrillo ed il primo elefante dopodiché entriamo nell’area protetta in una lunga fila di mezzi. Inizialmente avanziamo a singhiozzo, perché gli animali da vedere e fotografare sono innumerevoli, soprattutto gli uccelli. Avvistiamo subito anche manguste, bufali d’acqua, gruccioni, varani e cerbiatti, una quantità impressionante di pavoni. Di elefanti però, non v’è traccia, tantomeno di leopardi. Per tutta la mattina proseguiamo seguendo piste di terra battuta in una emozionante ricerca visiva fra la vegetazione. Ci impantaniamo nel fango un paio di volte e poi la nostra guida ci accompagna in un lodge nel parco dove ci viene offerto un tè. Per il pranzo invece ci sistemiamo lungo un corso d’acqua meraviglioso: nel cestino troviamo tagliolini saltati con verdure, banane, cocomero ed ananas. Il pomeriggio scorre velocissimo e solo verso la fine riusciamo ad incontrare due elefanti. Ci facciamo accompagnare direttamente alla fermata del bus per Matara. L’autobus è piuttosto scomodo ed è impossibile sedersi vicini per noi occidentali: i sedili sono quelli che noi usiamo per i bambini. Arriviamo a Matara in circa due ore e mezza e cambiamo bus. L’autista sembra conoscere il nostro albergo a Mirissa e promette di fermarsi davanti all’ingresso. Quando scendiamo dal bus inizia lo sgomento: non solo siamo fuori dal paese, ma il Sun Ray Resort non è altro che l’abitazione di una famiglia che affitta due camere in casa propria e nulla corrisponde a quanto descritto alla prenotazione. Ci prende lo sconforto ma, pensando una cosa alla volta, ci facciamo accompagnare in paese, a piedi e con la torcia su una strada buia e pericolosa, dal figlio della proprietaria. Torniamo in camera e scopriamo che i letti sono di gomma, vi si affonda dentro senza possibilità di muoversi ed il caldo è opprimente, quasi da non respirare. Fuori non c’è la spiaggia privata ed il giardino descritti sul sito ma il retro di altre case che, una volta attraversati, conducono ad un mare privo di spiaggia che si infrange contro la vegetazione. E’ deciso, domattina si cambia.

DAY10: MIRISSA

Ci svegliamo appiccicosi e ancora più stanchi, facciamo una colazione veloce, neppure troppo buona, ed in pochissimo tempo individuiamo un albergo favoloso in paese, ad un prezzo quasi ridicolo con aria condizionata e camera enorme con balcone, proprio davanti alla spiaggia e con lettini propri per i clienti. Prepariamo un discorso di commiato per il Sun Ray, costretti a fingere un’improvvisa partenza causa mancanza di treni per Colombo, e accantoniamo definitivamente la brutta esperienza in quella struttura. Da oggi, il relax sarà protagonista ma prima, resta un’ultima grande avventura: l’avvistamento balene. Prenotiamo per l’indomani e torniamo a goderci il mare dove posso finalmente utilizzare il guscio subacqueo per il mio smartphone e sbizzarrirmi con foto e riprese di pesci straordinari.

DAY11: WHALE WATCHING

Siamo stati davvero previdenti in questo viaggio: abbiamo anche l’occorrente per il mal di mare e prima di imbarcare ci ripassiamo tutti i consigli per evitare di star male. Mi salvo soltanto io, però. Occorrono due ore per raggiungere la zona di avvistamento cetacei, e le passo osservando due pesci volanti e diverse persone che vomitano dai due lati della piccola imbarcazione, incluso Nicola. Non una volta, ma quattro volte, ricominciando dalla nausea al vomito ogni volta come fosse la prima. Ammetto di aver fatto uno sforzo immane per non stare male a mia volta, obbligandomi a fissare l’orizzonte senza mai guardare dentro al balcone, ma ci sono riuscito. Quando finalmente abbiamo avvistato una Balenottera Azzurra e due Balene Grigie, l’emozione è stata purtroppo rovinata per quasi tutti dalle condizioni fisiche. Questa escursione è un’esperienza un po’ controversa: certo è l’unico modo per vedere queste creature e senza dubbio un bellissimo metodo per divulgare ed insegnare il rispetto e l’amore per certi animali, tuttavia si tratta di una pratica piuttosto invasiva. Le imbarcazioni in mare, di vari operatori, erano almeno una ventina. Ogni volta che una di queste barche sembrava in vista di qualcosa, tutte le altre si stringevano a ridosso della povera bestia che, disorientata, pareva voler solo individuare una via di fuga. Sono combattuto tra la meravigliosa emozione di osservare senza toccare e la sensazione di disturbo.

DAY12: OCEANO INDIANO

Oggi, ho vissuto il mare. Il mare che ogni volta mi rimette al mondo, cura ogni cicatrice fisica e mentale, calma la mia agitazione e la mia ansia e mi rinnova completamente dal profondo. Sono un amante della montagna, del trekking, dell’archeologia e della vegetazione, ma non posso non ammettere il beneficio assoluto che il mare ha su di me. Questo primo assaggio dell’anno mi fa pensare che nella prossima estate dovrei forse dedicare un po’ più tempo alle immersioni ed al nuoto. Non penso proprio a niente, oggi, se non a godere di questa spiaggia bellissima, del cibo straordinario, della musica dei piccoli chioschi e di una rapida visita all’ospedale delle tartarughe.

DAY 13: GALLE

Lasciata Mirissa e sulla via di Colombo, dove il volo ci attende in piena notte, programmiamo la visita di Galle, un forte Olandese circondato dal mare, altro sito Unesco. Lasciati gli zaini al deposito della stazione, attraversiamo la porta delle mura di fortificazione ed improvvisamente ci troviamo… in olanda! Non fosse per le piante tropicali e per il caldo sembrerebbe veramente un borgo olandese: tutto è maniacalmente lindo e curato, i fiori la fanno da padroni. I negozi sono fantastici e non si vendono le solite chincaglierie da turista ma tantissimi oggetti originali ed artigianali creati da stilisti ed artisti del luogo. Galle balza direttamente fra le città più belle che io abbia mai visitato. La giornata è stupenda, siamo appagati da tutto quanto vissuto fin qui, siamo riposati e rigenerati e torniamo pieni di soddisfazione per questo viaggio che è stato più bello di quanto si potesse riuscire ad immaginare.

Srī Lanka, Trekking, Viaggi

Trekking a Sigiriya

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La scalata dell’enorme roccia del leone, residuo di un antichissimo cono vulcanico, è un’esperienza unica, impossibile altrove. La biglietteria del sito, patrimonio dell’umanità UNESCO, apre alle 7:00, e se come noi avrete la fortuna di essere i primi ad accedere, potrete godere a pieno di ogni momento nella pace totale. Si attraversano i resti degli immensi giardini reali dove a parte qualche inserviente intento a spazzare le foglie, solo le scimmie e qualche uccello ci fanno compagnia. Qualche breve rampa di scale ci avvicina al monolite, dove inizia la vera scalinata. È indispensabile munirsi di acqua in abbondanza e protezione solare, già alle 8:00 il caldo è impietoso. Un camminamento prima scavato sul fianco della roccia e poi sospeso nel vuoto, conduce sul lato nord dove si trovano due zampe di leone giganti che abbracciano una nuova scalinata. Arriviamo sulla sommità per primi e dopo una quantità indefinibile di foto, scegliamo un punto panoramico nascosto e ci sediamo su uno dei muri dell’immenso palazzo che si ergeva quassù, ospitando prima una reggia e poi un monastero. Nel giro di mezz’ora tutta la zona brulica di gente e la via del ritorno è una processione infinita di turisti da ogni parte del mondo che, nel caldo ormai insopportabile, si avventura in fila nella direzione opposta alla nostra e che, ne sono certo, avrà sicuramente un’impressione differente da quella di assoluta beatitudine che abbiamo vissuto noi. Discesa la roccia, ci godiamo le rovine sparse nel giardino sottostante, all’ombra di alberi giganti, anche qui del tutto indisturbati.

Mondo, Srī Lanka, Viaggi

Anurādhapura in bici

SONY DSCLe rovine di questa antica capitale singalese si estendono su un’area enorme, visitare tutto a piedi richiederebbe più di un giorno, perciò, nonostante il caldo opprimente, abbiamo scelto la bici. Dalla Main Road della città nuova ci siamo diretti a sud fino all’enorme rotatoria, per poi dirigerci ad ovest verso il lago, cominciando così la visita dal tempio più a sud, per poi attraversare verso nord i meravigliosi giardini reali pieni di uccelli e piante mai viste prima. Le strade sono ampie e semideserte, le scimmie dominano questi luoghi insieme a tantissimi cani randagi. I cani sembrano tutti della stessa razza, medio-piccoli e color nocciola, anche loro provati dal caldo. Ci dirigiamo all’enorme albero della Bodhi (Jaya Srī Maha Bodhi) l’albero più antico del mondo, o meglio quel di cui si abbia prova certa dell’età: oltre duemila anni! Poco a nord, la guida segnala una cittadella fortificata, il disegno sulla mappa è molto ben definito ma nella realtà non rimane quasi niente, a parte due o tre rovine di poco interesse al centro. Ancora più a nord si trova un’area di elevatissimo interesse il monastero Abhayagiri che occupa un’area molto grande ricoperta da fitta vegetazione. In quest’area ci sono: un meraviglioso Buddha seduto, due vasche gemelle per le abduzioni, l’immenso dagoba in rovina e la gigantesca Elephants Tank. Tutto il giro ha richiesto circa cinque ore, al termine delle varie visite il Gps indicava 15km di pedalata.

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Italia, Viaggi

Pompei, Ercolano (e Napoli)

10013948_10152057555383867_382478685_nHo ricevuto un coupon per una notte in B&B e per un anno è stato impossibile utilizzarlo, finché, con Nicola, abbiamo deciso di sfruttarlo per andare a visitare Pompei. A parte le notizie sui crolli e la ridicola recente trasposizione cinematografica per mano dei soliti americani, è un sito di cui si sente parlare molto poco e quindi, prima di partire, ci siamo dati alla lettura sfrenata di documenti e testi al riguardo, per essere in qualche modo preparati. Il sito è immenso, non si riesce a capire la dimensione reale di questa città perduta finché non la si visita, basti pensare che la cinta muraria misura oltre 4km, quanto le mura di Lucca. Di mondo ne ho girato un bel po’ ormai, ma avere i brividi e la pelle d’oca mi è capitato di rado. Aggirarsi fra le case, i negozi, i templi ed i teatri di questa città è un’esperienza mistica, sconvolgente, soprattutto se si lancia ogni tanto uno sguardo al Vesuvio che, vicinissimo, osserva il visitatore come a dire “guarda che cosa ho fatto, attento: posso farlo ancora”. Il colore vivido degli affreschi e degli intonaci, la minuzia dei mosaici ed i livello evolutissimo della struttura urbanistica hanno superato quasi duemila anni in condizioni di straordinaria conservazione. Questo luogo è unico nel suo genere, non esiste al mondo un posto uguale o paragonabile, il valore è inestimabile, eppure le condizioni di gestione sono agghiaccianti. All’ingresso viene fornita una mappa cartacea, graficamente molto ben fatta, ma veramente scomoda ed affatto intuitiva da utilizzare: gli edifici principali sono numerati sulla mappa, ma sul retro sono elencati in ordine sparso, molti numeri non corrispondono ad alcun rimando nella legenda. Non ci sono pannelli informativi, descrizioni, spiegazioni. Se non si è letto qualcosa o non ci si è muniti di una guida autonomamente o di una App per smartphone, si rimane imbambolati senza sapere cosa si sta osservando in realtà. La sorveglianza è praticamente nulla: è possibile camminare su mosaici straordinari, toccare o addirittura scalfire un affresco senza che nessuno se ne accorga e infatti molte pareti sono ricoperte dalle solite scritte e scarabocchi graffiati da decenni di turismo selvaggio (consola solo in parte leggere anche nomi di visitatori stranieri fra i delinquenti). In più, molte fessure e crepe nei muri sono utilizzate come svuota tasche per confezioni di merendine e snack. Infine, sul sito sono presenti gruppi di cani randagi, la maggior parte dei quali, vecchi o  malati, giacciono per le strade acciottolate. L’iniziativa di microchipparli tutti e darli in adozione, operata a partire dal 2009 al costo fantascientifico di 100mila euro, è miseramente fallita: i cani microchippati sono stati appena 55, quelli adottati solo 26, e la popolazione canina è triplicata perché il tutto ha fornito lo spunto per nuovi abbandoni.  Nella Via dell’Abbondanza è stato fatto un tentativo di affissione di pannelli illustrativi, ma quelli presenti sono scoloriti dal tempo e la plastica che li contiene è così vecchia e opaca che non si riesce a leggervi attraverso. Proprio in questa zona, dopo quasi tre ore di cammino, abbiamo finalmente trovato i sorveglianti: raggruppati assieme in conversazioni calcistiche nel tentativo di ingannare la noia. Il paragone valore/tutela è indecente. L’urgenza è massima.

L’indomani mattina, ancora affascinati da Pompei, abbiamo deciso di andare anche ad Ercolano. Tutti dovrebbero visitare Ercolano, se avessi un figlio sarebbe probabilmente il primo sito archeologico che vorrei mostrargli. Diversamente da Pompei, è molto piccola e concentrata, ma “grazie” alla sua fine improvvisa ed immediata, travolta da un’ondata rovente praticamente subito dopo l’eruzione, è rimasta integra in modo straordinario. Le abitazioni conservano ancora i soffitti, persino il legno delle travi e delle porte è ancora presente, carbonizzato. Qui si è conservata infatti anche la componente organica, restituendo pietanze, animali, persone e persino frutta e radici che ci permettono di sapere praticamente tutto di quella gente, anche la disposizione originale degli ortaggi nei campi o la loro dieta. Ercolano è molto più pulita, probabilmente perché più gestibile e con una mole di turisti inferiore. Abbiamo avuto la fortuna di conversare con un sorvegliante, un signore prossimo alla pensione che lavora qui da oltre trent’anni e che in poche frasi ci ha fatto capire il suo amore assoluto per questo luogo e la sua devozione alla propria mansione.  Rientro da questa esperienza con una soddisfazione immensa, la curiosità di approfondire ancora l’argomento e la voglia di ritornare.

Il pomeriggio lo abbiamo dedicato alla nostra prima visita di Napoli, una visita in stile quasi “giapponese” tanto siamo riusciti a fare in poco tempo: Spaccanapoli, il Cristo Velato, Piazza del Gesù, la Funicolare fino al Vomero ed il panorama sul golfo, Via Toledo, Piazza Plebiscito, il Maschio Angioino, la Galleria Umberto I. Ebbene, esistono diverse bellezze in questa città, ma purtroppo, e mi spiace dirlo ma devo aggiungere “come mi aspettavo”, è molto faticoso riuscire a focalizzare l’attenzione su un monumento o su un edificio quando tutto intorno regnano degrado assoluto e sporcizia. Forse qualcuno può riuscire ad incantarsi davanti ad un meraviglioso palazzo ignorando i cassonetti traboccanti e le cartacce che turbinano in strada, io purtroppo non ne sono capace e la mia attenzione è stata distratta per tutto il tempo dall’indecente e fastidiosa mancanza di decoro e civiltà, quindi non porto con me un bel ricordo di Napoli né il desiderio di tornare. Aggiungo tuttavia quella che è stata la sensazione principale: mi è parso evidente che da queste parti viene data pochissima importanza all’aspetto fisico, alla moda o all’estrazione sociale delle persone e questo lo trovo un valore aggiunto molto positivo, una capacità di guardare dietro la copertina del prossimo ed una invidiabile mancanza di complessi esistenziali che invece sembrano essere una condanna irreparabile dalle mie parti.

Grecia, Viaggi

Grecia, Creta

Creta, la quinta isola del Mediterraneo per dimensioni, è un isola magica. La magia sta nell’aria che si respira poiché ovunque ci si trovi si percepisce un tranquillo e gradevole odore di storia, un odore dal sapore di timo e salvia che trasporta la mente alla civiltà Micenea, così ricca e misteriosa. Il mare è straordinario, di un azzurro intenso e pullulante di vita, con pesci che non avevo mai visto prima. La zona occidentale, appena scoperta dal turismo, conserva l’anima pacata e genuina del popolo locale, sempre sorridente e cordiale. Le strade tortuose salgono e scendono dai bruschi pendii rivelando sempre qualche sorpresa: magici paesi intatti, panorami mozzafiato, e, incredibilmente, anche foreste, grazie alle quote elevate delle montagne cretesi. Il cibo è delizioso ed economico e anche se il pesce è vario e ben cucinato, la tipicità risiede nei piatti di terra. Falasarna, dove ho alloggiato, ha rivelato di recente le rovine di un imponente città portuale fortificata dalle robuste mura e con una darsena enorme contenuta dentro la cinta muraria. Pare che un terremoto violentissimo, forse dovuto alla storica eruzione di Santorini, abbia sollevato il porto così tanto da renderlo inutilizzabile segnando così la fine di quello che era uno degli approdi principali del Mediterraneo. Chania, in italiano La Canea, mostra e difende con orgoglio le proprie origini Veneziane ed accoglie il visitatore con un dedalo di vicoli ricchi di negozi e ristoranti. Anche Rethymno ha origini Veneziane, qui però soffocate dall’eccessiva quantità di turisti che, provenendo dalla più attrezzata e mondana zona orientale, affollano le strade. Quasi ognuno parla inglese, persino gli anziani, quasi a voler ringraziare l’avvento dei voli Ryanair che li hanno salvati dalla crisi disastrosa degli ultimi anni. Ho potuto vedere appena un terzo dell’isola, abbastanza però da lasciarvi il cuore.

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Viaggi

Slovenia

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La Slovenia è la Svizzera dell’Est. Tutto è incantevole: il paesaggio, la pulizia, la cortesia e l’architettura. Superata la frontiera, si capisce subito che questa è la patria di un popolo con un enorme nazionalismo e che ha speso molte delle proprie energie per scrollarsi di dosso il passato jugoslavo. Lubliana è straordinaria, col suo centro storico vitale e frizzante, pieno di locali alla moda e passeggi alberati. Sembra incredibile che se ne parli così poco. Sedersi a sorseggiare la birra locale sotto gli alberi lungo il fiume, ascoltando la musica che proviene dai caffè è un’esperienza rigenerante, così come salire lungo la ripida mulattiera che conduce alla fortezza e godere del panorama sulla città.